Ricorso per conflitto di attribuzione tra  enti  con  istanza  di
sospensione per la Regione autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste, con
sede in Aosta, Piazza Deffeyes, n. 1, p. iva e c.f.  80002270074,  in
persona del presidente pro tempore,  Erik  Lavevaz,  rappresentata  e
difesa nel presente  giudizio,  in  forza  di  procura  in  calce  al
presente  atto,  ed  in  virtu'  della  deliberazione  della   Giunta
regionale n. 1183, del 22 settembre 2021,  dal  prof.  avv.  Giovanni
Guzzetta  (c.f.   GZZGNN66E16F158V;   tel.:   06   6797976;   p.e.c.:
giovanniguzzetta@ordineavvocatiroma.org), presso il cui studio,  sito
in Roma,  alla  via  Federico  Cesi,  n.  72,  ha  eletto  domicilio;
ricorrente; 
    Contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, in  persona  del
Presidente   pro   tempore,   rappresentato   e   difeso   ex    lege
dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, alla via
dei Portoghesi, n. 12; resistente; 
    con notifica anche: 
        alla Corte dei conti, in persona del Presidente pro tempore; 
    per la dichiarazione che non  spetta  allo  Stato  esercitare  la
funzione giurisdizionale, in  relazione  ad  atti  insindacabili  dei
consiglieri regionali,  e,  conseguentemente,  che  non  spetta  allo
Stato, e per esso alla Corte dei conti, sezione terza giurisdizionale
centrale di appello, il potere di adottare la sentenza  n.  350/2021,
depositata in data 30 luglio 2021 (doc. n. 1), la quale, in  parziale
riforma della sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale
per la Valle d'Aosta, n. 5/2018, depositata in data 25  ottobre  2018
(doc. n. 2), ha  accertato  la  responsabilita'  amministrativa,  con
conseguente  condanna  per  danno  erariale,  di  alcuni  consiglieri
regionali della Regione autonoma Valle  d'Aosta/Vallee  d'Aoste,  con
riferimento all'adozione deliberazione  del  Consiglio  regionale  n.
823/XIV, del 23 ottobre  2014  (doc.  n.  3),  siccome  lesiva  delle
attribuzioni costituzionali della Regione  medesima,  avuto  riguardo
all'insindacabilita'  dei  consiglieri  suddetti  per   le   opinioni
espresse e i voti dati nell'esercizio delle loro  funzioni,  a  mente
dell'art. 24 legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n.  4  («Statuto
speciale per la Valle d'Aosta») e, quindi, per  l'annullamento  della
sentenza  della  Corte  dei  conti,  sezione  terza   giurisdizionale
centrale di appello, n. 350/2021, depositata in data 30 luglio  2021,
nonche' di tutti gli atti e provvedimenti antecedenti, consequenziali
o comunque connessi, e, in particolare, per  quanto  occorrer  possa,
della sentenza della Corte dei conti, Sezione giurisdizionale per  la
Valle d'Aosta, n. 5/2018, depositata in data 25 ottobre 2018. 
 
                                Fatto 
 
    1. Il presente ricorso trae origine dall'esercizio della funzione
giurisdizionale  da  parte  della  Corte  dei  conti,  Sezione  terza
giurisdizionale di appello, concretatasi nell'adozione della sentenza
meglio indicata in epigrafe, la quale decideva in via  definitiva,  e
in parziale riforma della  pronuncia  di  primo  grado,  dell'appello
promosso, tra l'altro, da alcuni consiglieri regionali della  Regione
autonoma Valle d'Aosta/Vallee d'Aoste (di seguito, Regione),  avverso
la sentenza della Corte dei conti,  Sezione  giurisdizionale  per  la
Valle d'Aosta,  n.  5/2018,  depositata  in  data  25  ottobre  2018,
nell'ambito del giudizio  per  l'accertamento  della  responsabilita'
amministrativa dei consiglieri suddetti, e la relativa  condanna  per
danno  erariale,  con  riferimento,  per  quanto  qui   di   precipuo
interesse, all'adozione della deliberazione del  Consiglio  regionale
(di seguito, Consiglio) n. 823/XIV, del 23 ottobre 2014 (di  seguito,
deliberazione).  Giova   ricordare,   infatti,   come   il   giudizio
originariamente promosso evocasse la responsabilita'  amministrativa,
in relazione anche ad altre deliberazioni, ma sul punto la domanda e'
stata rigettata sia in primo che in secondo grado. 
    2. La deliberazione veniva  assunta,  con  riferimento  al  punto
all'ordine del giorno della seduta del Consiglio del 23 ottobre 2014,
recante  «Rafforzamento  finanziario  del   Resort   e   Casino'   di
Saint-Vincent. Incarico alla Finaosta  S.p.a.  di  sottoscrivere,  in
nome e per conto della Regione, l'aumento di capitale  della  Casino'
de la Vallee S.p.a. (Approvazione di un ordine del giorno)». 
    3. Come  risulta  dal  verbale  della  seduta  (doc.  n.  3),  il
presidente Marco Vierin, «in relazione al dibattito avvenuto (oggetti
n. 820/XIV e n. 821/XIV), invita[va] il Consiglio  a  procedere  alla
votazione della proposta indicata in  oggetto  e  iscritta  al  punto
33.02 dell'ordine del giorno dell'adunanza, a seguito di un dibattito
svolto in precedenza». 
    4. Seguivano, pertanto, due deliberazioni.  La  prima  approvava,
all'unanimita' del Consiglio, un ordine del giorno che  impegnava  la
Giunta regionale nei termini, che si ritiene opportuno riportare  qui
integralmente (doc. n. 3): 
    «Ordine del giorno 
    IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA VALLE D'AOSTA/VALLEE D'AOSTE 
    Considerata la gravita' della situazione gestionale ed  economica
in cui e' stata lasciata precipitare la Casino' de la Vallee  S.p.a.,
che, sommando le perdite di esercizio del 2012  (18,6  milioni),  del
2013 (21 milioni) e del  primo  semestre  2014  (8,791  milioni),  fa
registrare una perdita di oltre 47 milioni; 
    Ritenuto che la Casa da gioco possa ancora costituire  un  volano
per l'economia dell'intera regione, mettendo a profitto  gli  ingenti
investimenti pubblici che ad essa sono stati destinati  negli  ultimi
anni; 
    Preso  atto  della  relazione  annuale  al  Consiglio   regionale
sull'andamento della "Casino' de la Vallee S.p.a." e  della  proposta
di deliberazione concernente "Rafforzamento finanziario del Resort  e
Casino'  di  Saint-Vincent.  Incarico   alla   Finaosta   S.p.a.   di
sottoscrivere, in nome  e  per  conto  della  Regione,  l'aumento  di
capitale del Casino' de la Vallee S.p.a."; 
    Analizzata la relazione sulla gestione della Casa da gioco al  30
giugno 2014, nella quale l'amministratore  unico  propone  ai  propri
azionisti di "procedere senza indugio, alla copertura  della  perdita
del periodo 1° gennaio 2014 - 30 giugno 2014,  di  8,791  milioni  di
euro, unitamente alle perdite portate a nuovo di euro 39,708 milioni,
evidenziate nel bilancio intermedio", oltre che di  procedere  "entro
tempi ragionevolmente brevi" alla ricostituzione del capitale sociale
ad un importo tale da garantire l'ordinaria attivita' aziendale; 
    Visto il verbale  dell'Assemblea  ordinaria  totalitaria  del  22
settembre  2014,   nella   quale   il   collegio   sindacale   invita
l'amministratore  a  convocare  nel  piu'   breve   tempo   possibile
l'assemblea straordinaria onde deliberare "le misure  necessarie  per
garantire l'integrita' del patrimonio  e  la  continuita'  aziendale,
tenendo conto dell'avvenuta iscrizione di imposte anticipate  non  in
aderenza a quanto previsto dai principi contabili". 
    Ricordate le affermazioni dell'assessore Perron  contenute  nello
stesso verbale dell'assemblea ordinaria con le quali egli "esprime le
preoccupazioni  dell'azionista  sulla  situazione   economica   della
societa'"; 
    Valutato  come  le  perdite  registrate  superino  il  terzo  del
capitale sociale e rendano obbligatoria la  ricapitalizzazione  della
societa' ai sensi dell'art. 2446 del codice civile; 
    Vista la richiesta di un aumento di capitale sociale  pari  a  60
milioni di euro, inoltrata dall'amministratore unico  della  Casa  da
gioco in data 2 ottobre 2014; 
    Ricordato come da inizio  legislatura  i  gruppi  di  opposizione
UVP-ALPE-PDSinistraVdA-Movimento 5 Stelle hanno  richiesto,  sia  nei
dibattiti in commissione consiliare che in Consiglio Valle, di  porre
la massima attenzione politica alla situazione della  Casa  da  gioco
proponendo  nel  2013  di  costituire  una  Commissione  speciale   e
chiedendo  poi,  nel  marzo   2014,   di   rimuovere   e   sostituire
l'amministratore unico e la dirigenza tutta, attraverso  una  mozione
approvata dal Consiglio; 
    Sottolineate le funzioni e le responsabilita' dell'amministratore
unico e della dirigenza; 
    Ricordato che l'amministratore unico e la dirigenza  tutta  della
Casa  da  gioco  non  hanno  mai  dato  corso  alle  decisioni  prese
dall'aula; 
    Preso atto  del  Piano  economico  aziendale  2014-2018  e  degli
impegni dell'azienda; 
    Sottolineata l'attuale difficolta' di  integrazione  dell'azienda
rispetto al territorio  circostante  e  al  tessuto  socio-economico,
testimoniato dalle audizioni rese dagli amministratori locali,  dalle
parti sociali e dagli operatori turistici della zona, che  denunciano
la "concorrenza sleale" del Resort Billia; 
    Impegna la Giunta regionale a procedere alla costituzione di  una
task force politica che, in via straordinaria, affianchi  e  monitori
l'azione di rilancio della Casa da  gioco  attraverso  l'adozione  di
misure  che  valorizzino  gli  investimenti  fatti  e  migliorino  la
gestione della Casa da gioco,  avendo,  tra  gli  altri,  come  primi
indirizzi non esaustivi ne' limitativi del  ruolo  della  task  force
stessa: 
        1) la conferma della revoca del premio  per  l'amministratore
unico anche per il 2014 e la  riduzione  significativa  del  compenso
dell'amministratore unico e di tutti i dirigenti; 
        2) la predisposizione di un piano di crescita degli  introiti
dettagliato e supportato da valutazioni  credibili  e  sostenibili  a
livello  finanziario  che  possano  produrre  un  vero  ed  effettivo
rilancio dell'azienda e del territorio circostante; 
        3)  prevedere  accordi  di  prospettiva,  fermo  restando  il
rispetto degli accordi in  essere,  finalizzati  ad  un  recupero  di
produttivita' e ad una riduzione dei costi del  personale  che  abbia
effetti  strutturali  e  che  riequilibri  il  rapporto  tra  reparti
produttivi e personale  amministrativo,  considerato  che  i  reparti
storici stanno piano piano andando ad esaurimento; 
        4) la  definizione  di  azioni  concrete  da  porre  in  atto
immediatamente per garantire un raccordo continuo e costante  con  il
territorio circostante  (amministrazioni  comunali,  associazioni  di
operatori) al fine di favorire l'interazione e le necessarie sinergie
tra il territorio e la Casa da  gioco,  oltre  che  le  strategie  di
rilancio dell'intero comprensorio, evitando la concorrenza sleale nei
confronti delle aziende private locali». 
    5. Successivamente all'approvazione di tale ordine del giorno, il
Presidente poneva in votazione una «proposta di  atto  amministrativo
comprensiva  dell'emendamento   della   IV   commissione   consiliare
permanente» (doc. n. 3). 
    6. All'esito di votazione per appello nominale,  ai  sensi  degli
articoli 71 e 72 del regolamento interno, il Consiglio  approvava  il
seguente atto, anch'esso riportato qui integralmente (doc. n. 3): 
    «IL CONSIGLIO 
    Richiamati: 
        la legge regionale 30 novembre 2001, n. 36, con la  quale  e'
stata costituita, in data 2 dicembre 2002, la societa' "Casino' de la
Vallee S.p.a.", e in particolare l'art. 2 che  prevede  che  solo  la
Regione autonoma Valle d'Aosta ed i Comuni della regione  interessati
possano essere soci della Casino' de la Vallee S.p.a.; 
        la legge regionale 23  dicembre  2009,  n.  49:  "Linee-guida
per l''ottimizzazione ed il  rilancio  delle  strategie  di  sviluppo
della Casa da gioco e del complesso aziendale Grand Hôtel  Billia  di
Saint-Vincent. Modificazioni alla legge regionale 30  novembre  2001,
n. 36 (Costituzione di una societa' per azioni per la gestione  della
Casa da gioco di Saint-Vincent)" e,  in  particolare,  l'art.  3  che
autorizza l'intervento diretto della Regione al  finanziamento  degli
investimenti previsti dal piano di sviluppo; 
        il  piano  di  sviluppo  del  Casino'   de   la   Vallee   di
Saint-Vincent approvato con propria deliberazione n. 509/XIII del  15
aprile 2009,  integrato  e  completato  dal  piano  di  sviluppo  del
complesso del Grand Hôtel Billia, approvato con propria deliberazione
n. 1330/XIII del 28 luglio 2010; 
        la legge regionale 16 marzo 2006, n. 7:  "Nuove  disposizioni
concernenti  la  societa'  finanziaria  regionale   Finaosta   S.p.a.
Abrogazione della legge regionale  28  giugno  1982,  n.  16"  e,  in
particolare, gli articoli 6 e 11 di disciplina  degli  interventi  in
gestione speciale; 
    Ricordato che la Casino'  de  la  Vallee  S.p.a.  e'  partecipata
direttamente dalla Regione e dal Comune  di  Saint-Vincent,  per  una
quota pari, rispettivamente, al 99,91% e allo 0,09%; 
    Richiamata la deliberazione della Giunta regionale n. 1465 del 20
luglio 2012 con  la  quale  la  societa'  Finaosta  S.p.a.  e'  stata
incaricata, in gestione speciale, ai sensi dell'art.  6  della  legge
regionale n. 7/2006, di perfezionare e di stipulare due operazioni di
mutuo di  50.000.000  di  euro  ciascuna.  La  prima  operazione  tra
Finaosta S.p.a. e Compagnia Valdostana delle Acque - CVA  S.p.a.  per
il reperimento dei fondi necessari  al  finanziamento  della  seconda
operazione: tra Casino' de la Vallee S.p.a. e Finaosta S.p.a. per  il
finanziamento di  parte  del  piano  di  sviluppo,  ad  un  tasso  di
interesse fisso del 6,00%, rideterminato al 3,28%  con  deliberazione
della Giunta regionale n. 1125 dell'8 agosto 2014, con decorrenza  1°
luglio 2014; 
    Richiamata la deliberazione della Giunta regionale n. 1527 del 20
settembre 2013 con la quale la  societa'  Finaosta  S.p.a.  e'  stata
incaricata, in gestione speciale, ai sensi dell'art.  6  della  legge
regionale n. 7/2006, di perfezionare e di stipulare, con  la  Casino'
de la Vallee S.p.a., un'operazione  di  mutuo  chirografario  per  un
importo di euro 10.000.000 ad un tasso  di  interesse  fisso  pari  a
complessivi  6,04%,  rideterminato  al  3,28%  con  la  predetta  DGR
1125/2014 e con la medesima decorrenza; 
    Considerata la necessita' di proporre un piano  di  rafforzamento
patrimoniale del Resort & Casino' di Saint-Vincent, consistente in un
aumento di capitale di 60.000.000 di euro della Casino' de la  Vallee
S.p.a., da sottoscriversi da parte  della  Regione,  finalizzato  per
30.000.000 al rimborso parziale del mutuo della stessa  societa'  con
la Finaosta S.p.a. di cui alla deliberazione della  Giunta  regionale
n. 1465 del 20 luglio 2012; 
    Richiamata la nota prot. n. 193 del 2 ottobre 2014 con  la  quale
l'amministratore  unico  della  Casino'  de  la  Vallee   S.p.a.   ha
sottoposto all'Amministrazione regionale il piano a cinque  anni  del
Resort  &  Casino'  di   Saint-Vincent   sviluppato   tenendo   conto
dell'ipotesi di aumento di capitale di 60.000.000; 
    Ritenuto di procedere all'aumento di capitale della Casino' de la
Vallee S.p.a., per un importo di 60.000.000 di euro con  addebito  al
fondo in gestione speciale presso la Finaosta S.p.a. di cui  all'art.
6 della legge regionale n. 7/2006  incaricando  Finaosta  S.p.a.  con
apposito mandato a sottoscrivere, in nome e per conto della  Regione,
l'aumento di capitale della Casino' de la Vallee S.p.a.; 
    Ritenuto altresi' che i  30.000.000  che  saranno  versati  dalla
Casino' de la Vallee S.p.a. alla Finaosta S.p.a. a rimborso del mutuo
in essere saranno utilizzati,  per  pari  importo,  per  il  rimborso
parziale del mutuo che  la  Finaosta  S.p.a.  ha  in  essere  con  la
societa' Compagnia Valdostana delle Acque - CVA S.p.a.; 
    Richiamato l'art. 32 della legge regionale 10 aprile 1997, n. 12:
"Regime dei beni della Regione autonoma Valle d'Aosta",  che  assegna
al Consiglio regionale la competenza per la sottoscrizione  a  titolo
di aumento di capitale di partecipazioni superiori al  cinquanta  per
cento; 
    Richiamata, infine, la propria deliberazione n. 949/XIII  del  17
dicembre 2009 con la  quale  e'  stato  approvato  lo  Statuto  della
Casino' de la Vallee S.p.a. attualmente in vigore; 
    Ricordato che la richiamata legge regionale n.  36/2001  all'art.
1, comma 2, prevede che le modifiche  dello  Statuto  della  societa'
Casino' de la Vallee S.p.a. siano approvate dal Consiglio regionale; 
    Ritenuto, pertanto, necessario adeguare il contenuto dell'art.  5
dello Statuto della Casino' de la Vallee  S.p.a.  in  relazione  alla
modificazione da apportare al capitale sociale; 
    Richiamata la deliberazione della Giunta  regionale  n.  2186  in
data 31 dicembre 2013  concernente  l'approvazione  del  bilancio  di
gestione per il triennio 2014/2016 con  attribuzione  alle  strutture
dirigenziali di  quote  di  bilancio  e  degli  obiettivi  gestionali
correlati, del bilancio di cassa per l'anno 2014  e  di  disposizioni
applicative; 
    Visto  il  parere  favorevole  di  legittimita'  rilasciato   dal
coordinatore del Dipartimento  bilancio,  finanze  e  patrimonio,  ai
sensi dell'art. 4, comma 3, della legge regionale 23 luglio 2010,  n.
22, sulla proposta della presente deliberazione; 
    Visto il parere della IV Commissione consiliare permanente; 
    Con l'emendamento della IV Commissione consiliare permanente. 
    Procedutosi  a  votazione  per  appello  nominale,  a  cura   del
consigliere segretario Laniece, ai sensi dell'art. 72 del regolamento
interno, con il seguente risultato della votazione: 
        consiglieri presenti: trentacinque; 
        consiglieri votanti: venti; 
        astenuti: quindici; 
        favorevoli: diciotto; 
        contrari: due; 
    I consiglieri si sono cosi' espressi: Baccega Mauro: favorevole -
Bertin Alberto: astenuto - Bertschy Luigi: astenuto -  Bianchi  Luca:
favorevole - Borrello Stefano: favorevole - Certan Chantal:  astenuta
- Chatrian Albert: astenuto - Cognetta Roberto:  contrario  -  Donzel
Raimondo: astenuto - Fabbri Nello: astenuto - Farcoz Joël: favorevole
- Ferrero Stefano: contrario - Follien David:  favorevole  -  Fontana
Carmela: astenuta -  Fosson  Antonio:  favorevole  -  Gerandin  Elso:
astenuto - Grosjean  Vincenzo:  astenuto  -  Guichardaz  Jean-Pierre:
astenuto -  Isabellon  Giuseppe:  favorevole  -  La  Torre  Leonardo:
favorevole -  Laniece  Andre':  favorevole  -  Marguerettaz  Aurelio:
favorevole  -  Marquis  Pierluigi:  favorevole  -  Morelli  Patrizia:
astenuta - Nogara Alessandro: astenuto - Peaquin Marilena: favorevole
- Perron Ego: favorevole - Restano Claudio: favorevole - Pini  Emily:
favorevole  -  Rollandin  Augusto:  favorevole  -  Roscio   Fabrizio:
astenuto - Rosset Andrea: astenuto -  Testolin  Renzo:  favorevole  -
Vierin Laurent: astenuto - Vierin Marco: favorevole. 
    Delibera 
        1) di approvare il piano di  rafforzamento  patrimoniale  del
Resort & Casino' di  Saint-Vincent,  consistente  in  un  aumento  di
capitale di 60.000.000 di euro della Casino' de la Vallee S.p.a.; 
        2) di incaricare  Finaosta  S.p.a.  con  apposito  mandato  a
sottoscrivere, in nome e  per  conto  della  Regione  autonoma  Valle
d'Aosta, l'aumento di capitale della Casino' de la Vallee S.p.a., per
un importo massimo di 60.000.000 di euro addebitandone  l'onere,  per
pari importo, al fondo in gestione speciale presso la stessa Finaosta
S.p.a. di cui all'art. 6 della legge regionale n. 7/2006; 
        3) di finalizzare  un  importo  pari  a  30.000.000  di  euro
dell'aumento di capitale di cui al punto 2 del presente deliberato al
rimborso parziale del mutuo che la Casino' de la Vallee S.p.a. ha  in
essere nei confronti di Finaosta S.p.a., ai sensi della deliberazione
della giunta regionale n. 1465 del 20 luglio 2012; 
        4) di incaricare Finaosta S.p.a. di rimborsare con  l'importo
di 30.000.000 di euro ricevuti dalla Casino' de la Vallee  S.p.a.  il
mutuo che la stessa Finaosta S.p.a.  ha  con  la  societa'  Compagnia
Valdostana delle Acque - CVA S.p.a.; 
        5) di approvare la modifica dell'art. 5 dello  Statuto  della
Casino' de la Vallee S.p.a., approvato con propria  deliberazione  n.
949/XIII del 17 dicembre 2009,  adeguandone  l'importo  del  capitale
sociale e il numero delle azioni ordinarie». 
    7. Dal collegamento tra i due atti,  pertanto,  affiora  come  la
seconda deliberazione (di aumento di capitale) si inquadrasse in  una
scelta  di  indirizzo  politico,  testimoniata,  per  l'appunto,  dal
connesso ordine del giorno, rivolto alla  Giunta  regionale,  per  il
complessivo rilancio dell'attivita' del Casino' di Saint-Vincent. 
    8. Con atto di citazione depositato  in  data  18  gennaio  2018,
iscritto al n. 798 del registro di segreteria, la  Procura  regionale
dava avvio, dinanzi alla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per
la Valle d'Aosta, a un giudizio di responsabilita', nei confronti  di
una pluralita' di amministratori e funzionari regionali, tra i  quali
anche i consiglieri regionali che avevano approvato la  deliberazione
suddetta. 
    9. Il giudizio di primo grado si concludeva con la  condanna  dei
consiglieri   regionali   al   risarcimento   del   danno   erariale,
quantificato nell'ordine di euro 30 milioni. In proposito,  la  Corte
dei conti,  Sezione  giurisdizionale  per  la  Valle  d'Aosta  -  pur
premettendo  che  «gli   Amministratori   regionali   e   lo   stesso
Coordinatore del settore bilancio abbiano, nel  dichiarato  scopo  di
perseguire  finalita'  pubblicistiche,  interpretato  il  quadro   di
riferimento, comprensivo della legge istitutiva della  societa',  nel
senso di favorire ogni possibile azione di supporto del  progetto  di
rilancio e di sostentamento del Casino'», e pur riconoscendo che,  ai
sensi della disciplina  vigente  (cfr.  art.  3  legge  regionale  23
dicembre 2009, n. 49), «fosse possibile finanziare il  Casino'  anche
attraverso  la  gestione  speciale  di  Finaosta»   (la   Finanziaria
regionale menzionata nelle motivazioni della deliberazione) (doc.  n.
2, p. 56) - concludeva che «il quadro  normativo  di  riferimento  si
prestasse a diverse interpretazioni», tanto da  «far  escludere  ogni
intento doloso in ordine alle decisioni assunte  dai  convenuti»,  ma
«rimanendo a loro carico il profilo della colpa grave connesso ad una
valutazione di contesto che si e' rivelata manifestamente errata  sia
nei presupposti che nelle scelte che ne sono derivate» (doc. n. 2, p.
56).  In  particolare,  a  parere   della   Sezione   giurisdizionale
regionale, i convenuti  avevano  ignorato  i  «segnali  di  debolezza
finanziaria della Societa' (gestore del  Casino'),  al  limite  della
decozione», che «erano gia' ampiamente conosciuti  sia  dal  decisore
politico che dalla struttura amministrativa della Regione»  (doc.  n.
2, p.  57).  Altrettanto  rilevante,  ai  fini  del  decisum,  veniva
considerata la «circostanza che la stessa Regione aveva gia' ricevuto
report   significativi   sulle    problematiche    finanziarie    che
attanagliavano la  Societa',  tanto  da  poter  far  ritenere  che  i
progetti di investimento si basassero su valutazioni  ottimistiche  e
su scenari di difficile verosimiglianza»  (doc.  n.  2,  p.  57).  La
sentenza cosi' concludeva in  punto  di  responsabilita':  «In  buona
sostanza gli amministratori regionali e lo  stesso  coordinatore  del
bilancio hanno posto in essere scelte di finanziamento  in  contrasto
con i principi di economicita', efficienza ed  efficacia  dell'azione
pubblica  che  si  sono  risolte  in  danno  erariale  (...)   avendo
colposamente  trascurato  tutti  gli  indicatori  e  i   segnali   di
irreversibile  crisi  che  provenivano  dalle  analisi  svolte  sulla
situazione economica della Societa'» (doc. n. 2, p. 57). 
    10. A seguito di numerosi appelli, sia  da  parte  della  Procura
regionale che degli altri soccombenti, si pronunciava  la  Corte  dei
conti, sezione terza giurisdizionale centrale di appello,  la  quale,
in parziale riforma della decisione di primo grado,  in  ordine  alla
quantificazione del danno (ridotto a  euro  16  milioni),  confermava
l'impianto  motivazionale  della  medesima  e  i  presupposti   della
condanna,  sia  sotto  il  profilo  oggettivo  che   soggettivo.   In
particolare,  dopo  aver  ripercorso  le   vicende   storiche   della
disciplina relativa al Casino' di Saint Vincent, la Corte dei  conti,
sezione terza giurisdizionale centrale di appello, evidenziava  come,
anche in forza del contenuto dell'ordine del giorno approvato con  la
deliberazione, non si potesse dubitare della consapevolezza, da parte
del decisore pubblico, della grave situazione finanziaria della  Casa
da gioco. Secondo la Corte dei conti, sezione  terza  giurisdizionale
centrale di appello, infatti, «(l)'esame  del  testo  della  delibera
approvata dal Consiglio regionale e  gli  elementi  sopra  richiamati
evidenziano che la situazione di grave difficolta' finanziaria  della
societa' era nota a tutti i consiglieri che hanno scelto la via della
ricapitalizzazione mentre avrebbero potuto e  dovuto  valutare  altre
soluzioni e possibilita', che  non  hanno  preso  in  considerazione.
Osserva il Collegio che e' errato sostenere che la ricapitalizzazione
fosse imposta dall'art. 2446 del codice civile e che,  quindi,  fosse
obbligata.   L'opzione   deliberata,   infatti,   era    alternativa,
quantomeno, alla messa in liquidazione della societa' e alla cessione
da parte della Regione del ramo aziendale a terzi imprenditori o alla
concessione dell'attivita' della gestione della Casa da gioco  e  del
complesso immobiliare a terzi soggetti (come era avvenuto al  momento
dell'istituzione della Casa da gioco nel 1946)» (doc. n. 1,  p.  92).
Aggiuntivamente, la decisione affermava: «E' indubbio, che la mancata
verifica di soluzioni alternative in una situazione nella  quale  nel
2012 e nel 2013 erano gia' stati erogati finanziamenti per 40 milioni
di euro senza  che  si  registrasse  alcun  miglioramento  (nel  2012
perdite per 18,6 milioni, nel 2013 perdite per 21 milioni e nel primo
semestre 2014 perdite per 8,791 milioni, per un  complessivo  importo
superiore ai 47 milioni di euro), ha  comportato  che  l'aumento  del
capitale  sociale  sia  avvenuto  in  violazione  dei  parametri   di
efficienza ed economicita' dell'azione amministrativa, considerata la
ingiustificata  dispersione  di  risorse  pubbliche,  in  assenza  di
specifiche  valutazioni  sulle  possibili  soluzioni  alternative   o
sull'adozione di specifici interventi di risanamento» (doc. n. 1,  p.
92).  E  ancora:  «L'illiceita'  del  comportamento  dei  Consiglieri
regionali e'  acclarata  anche  a  prescindere  dalla  violazione  di
specifiche  disposizioni  normative  che   regolavano,   al   momento
dell'adozione  della   delibera,   la   possibilita'   di   mantenere
partecipazioni societarie attinenti alla "produzione  di  beni  e  di
servizi  non  strettamente  necessarie  per  il  perseguimento  delle
proprie finalita' istituzionali" (art. 3, comma 27 e segg., legge  24
dicembre 2007, n. 244), e le  condizioni  alle  quali  era  possibile
disporre aumenti di capitale in  presenza  di  reiterate  perdite  di
esercizio (art. 6, comma 19, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78,
convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122). Peraltro, trattandosi
di norme imperative di finanza pubblica, i principi  stabiliti  dalle
disposizioni  richiamate  erano  applicabili  anche  alle  regioni  a
statuto  speciale,  quale  e'  la  Regione  autonoma  Valle  d'Aosta.
Tuttavia,  nel  caso  di  specie,  il  comportamento   illecito   dei
consiglieri regionali e' pienamente ravvisabile a  prescindere  dalla
violazione di esse posto che  la  scelta  di  disporre  l'aumento  di
capitale  e'  stata  effettuata  in  violazione   dei   principi   di
economicita', efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, con
conseguente inutile dispersione delle risorse regionali,  indirizzate
ad uno scopo privo di utilita' per l'ente» (doc. n. 1, p. 93). 
    11. In questa sede, riveste particolare  importanza  il  profilo,
esaminato da entrambe le pronunce menzionate, inerente  all'eccezione
di difetto assoluto di giurisdizione, quanto all'insindacabilita' dei
voti dati dai  consiglieri  regionali,  in  sede  di  adozione  della
deliberazione,  in  virtu'  della  guarentigia  approntata  dall'art.
24 legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 («Statuto speciale per
la Valle d'Aosta»: di seguito, Statuto), il quale,  con  formulazione
del tutto sovrapponibile a quella contenuta nell'art. 122,  comma  4,
Cost., cosi' recita: «I  consiglieri  regionali  non  possono  essere
perseguiti per le opinioni espresse  o  i  voti  dati  nell'esercizio
delle loro funzioni». 
    12. Sul punto, la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la
Valle d'Aosta, argomentava che «(p)er il collegio (...)  questa  tesi
non  appare  convincente,  posto  che,  secondo   la   giurisprudenza
costituzionale  (cfr.  Corte   costituzionale   337/2009;   200/2008;
392/1999; 289/1997; 69/1985; 70/1985) (...)  l'ambito  di  estensione
dell'insindacabilita' di  cui  agli  art.  68  e  122  Cost.  e  alla
previsione dello Statuto speciale della Regione e' idonea  a  coprire
"le funzioni amministrative attribuite al Consiglio regionale in  via
immediata ed esclusiva dalla Costituzione e dalle leggi dello  Stato.
Non sono, per contro, coperte dall'immunita' eventuali altre funzioni
amministrative attribuite al Consiglio  dalla  normativa  regionale"»
(doc. n. 2, p. 51). Inoltre, citando implicitamente (a quanto e' dato
di comprendere) Corte costituzionale, sentenza n. 337  del  2009,  il
giudice di prime cure precisava: «In generale va  distinta  dall'area
insindacabile,  riferita  alle  funzioni  legislative,  di  indirizzo
politico e di controllo, di  autoorganizzazione  interna,  nonche'  a
quelle aggiuntive  determinate  dal  legislatore  nazionale,  un'area
invece pienamente  sindacabile,  costituita  dalle  altre  e  diverse
funzioni amministrative, determinate  dalle  varie  fonti  regionali.
Ancora di recente si e'  chiarito  sul  punto,  con  un  ragionamento
valevole anche per le regioni  ad  autonomia  speciale,  che  nessuna
fonte regionale potrebbe introdurre nuove cause  di  esenzione  dalla
responsabilita'  penale,  civile  o  amministrativa,  trattandosi  di
materia riservata alla competenza esclusiva del legislatore  statale,
ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.» (doc. n. 2,
p. 51). 
    13.  Dal  canto  suo,  la  Corte   dei   conti,   sezione   terza
giurisdizionale  centrale  di  appello,  si  esprimeva   in   termini
sostanzialmente analoghi: «Non  risulta  alcuna  norma  di  esenzione
dalla  responsabilita'  amministrativa  in  favore  dei   consiglieri
regionali, come precisato  anche  dalla  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale secondo cui "una volta affermata la  piena  estensione
della giurisdizione contabile nei confronti degli apparati  regionali
e provinciali, una esenzione da questa in favore di specifici  organi
della  regione  e  delle  province,  vale  a   dire   dei   consigli,
costituirebbe una eccezione, la quale dovrebbe trovare fondamento  in
norme  costituzionali  ....,  che  invece  non  sussistono.  Non   e'
possibile,  come  questa  Corte  ha  gia'   piu'   volte   affermato,
considerare estesa ai Consigli regionali  la  deroga,  rispetto  alla
generale sottoposizione  alla  giurisdizione  contabile,  che  si  e'
ritenuto operare, per ragioni storiche e di salvaguardia della  piena
autonomia costituzionale degli organi supremi,  nei  confronti  delle
Camere parlamentari, della Presidenza della Repubblica e della  Corte
costituzionale (sentenza n. 110 del 1970, sentenza n. 129 del  1981).
Le assemblee elettive delle regioni  non  sono  infatti  parificabili
alle assemblee parlamentari; i consigli regionali godono  bensi',  in
base  alla  Costituzione  (art.  122,  quarto   comma),   di   talune
prerogative  analoghe  a  quelle  tradizionalmente  riconosciute   al
Parlamento, ma, al  di  fuori  di  queste  espresse  previsioni,  non
possono  essere  assimilati  ad  esso,  quanto  meno  ai  fini  della
estensione di  una  disciplina  che  si  presenta  essa  stessa  come
eccezionale  e  derogatoria  (si  veda  anche  sentenza  n.  81   del
1975)"(Corte costituzionale 25 luglio 2001, n. 297)» (doc. n.  1,  p.
61). Il giudice d'appello rammentava,  altresi',  che  «(i)l  giudice
delle leggi ha sottolineato che l'autonomia organizzativa e contabile
del  Consiglio  regionale,  tutelata   dall'ordinamento,   non   puo'
annoverare al suo interno un'esenzione da responsabilita', posto  che
la posizione di membro del citato consesso "non puo' implicare di per
se' che l'amministrazione consiliare sfugga alla disciplina generale,
prevista  dalle  leggi  dello   Stato,   in   ordine   ai   controlli
giurisdizionali" (Corte costituzionale 25 luglio 2001, n. 297.  Negli
stessi termini: Corte costituzionale, 9 maggio 2019, n. 43)» (doc. n.
1, pagine 61-62). Veniva menzionata, infine, la giurisprudenza  della
Corte di cassazione, e  la  distinzione  in  essa  contemplata,  «fra
attivita' tutelate dall'art. 122, comma  4,  della  Costituzione,  da
individuarsi in quelle  attinenti  alla  formulazione  dell'indirizzo
politico  poiche'   "l'evocata   prerogativa   d'insindacabilita'   -
testualmente  riferita  alle  opinioni  espresse  e  ai   voti   dati
nell'esercizio  delle  funzioni  di   rappresentanza   politica   del
consiglio regionale" da quelle di carattere gestionale  in  relazione
alle quali e' consentita l'attivita' giurisdizionale contabile (Cass.
civ. sez. un., 31 ottobre 2014, n. 23257; id, 15 settembre  2020,  n.
19171)» (doc. n. 1, p. 62). Tutto cio', in quanto, «(l)a  guarentigia
di cui alla citata disposizione costituzionale, in quanto deroga alla
regola generale della  giurisdizione,  non  mira  ad  assicurare  una
posizione di privilegio ai consiglieri regionali, ma a preservare  da
interferenze e condizionamenti esterni delle determinazioni  inerenti
alla sfera di autonomia  costituzionalmente  riservata  al  Consiglio
regionale e non copre  gli  atti  non  riconducibili  ragionevolmente
all'autonomia ed alle esigenze ad essa sottese (Cass. civ., sez. un.,
17 aprile 2019, n. 10772)». In conclusione, per il giudice d'appello,
«nella fattispecie  oggetto  di  giudizio,  non  e'  stata  censurata
l'attivita'  politica  dei  consiglieri   regionali,   di   per   se'
insindacabile, ma il comportamento che ha condotto all'adozione di un
atto amministrativo (la delibera n. 823 del 23 ottobre 2014)  con  il
quale  e'  stata  perfezionata  una  precisa  e  determinata   scelta
gestionale. In altri termini, la delibera contestata aveva natura  di
atto  politico  di  indirizzo  generale  ed  astratto,  che   avrebbe
comportato la previsione di insindacabilita' dell'art. 122, comma  4,
Cost., ma configurava un atto concreto e gestionale, finalizzato alla
tutela di uno specifico interesse e,  quindi,  come  tale  sottoposto
alla verifica giurisdizionale» (doc. n. 1, pagine 62-63). 
    14. Preme rimarcare, sempre in punto di fatto che, tanto poco  la
società-Casa  da  gioco  versava  nella  situazione  di   «decozione»
adombrata dal giudice contabile, che la medesima  e'  stata  ammessa,
con  provvedimento  del  Tribunale  di  Aosta,  a  una  procedura  di
concordato preventivo. 
 
                              In limine 
 
    La Regione non ignora che, alla stregua della disciplina di rango
costituzionale e ordinario, cosi' come elucidata dalla giurisprudenza
di  codesta  ecc.ma  Corte,  le  regioni  speciali,  e  quindi  anche
l'odierna ricorrente,  non  sono  in  generale  sottratte  ai  poteri
spettanti alla Corte dei conti. 
    Cio' vale, in particolare, con riferimento, da un lato, ai poteri
di controllo che trovano il proprio fondamento nell'art. 100, comma 2
Cost. e, dall'altro, a quelli giurisdizionali di  cui  all'art.  103,
comma 2 Cost. 
    A proposito dei primi, peraltro, va  segnalato  che  questi  sono
andati  intensificandosi  nel  corso  degli  anni,   soprattutto   in
considerazione delle esigenze di tutela degli equilibri di  bilancio,
di coordinamento della finanza pubblica e  di  rispetto  dei  vincoli
discendenti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea. 
    E' dunque ormai da ritenersi pacifico  che  la  Corte  dei  conti
eserciti   un   controllo   sulla    gestione    finanziaria    delle
amministrazioni pubbliche, comprese le regioni  speciali,  in  quanto
anch'esse rientranti  tra  gli  «enti  che  costituiscono,  nel  loro
insieme, la finanza pubblica allargata» (cosi', Corte costituzionale,
sentenza n. 39 del 2014; nello stesso senso, cfr., ex plurimis, Corte
costituzionale, sentenze numeri 219, 60 del 2013, 198 del  2012,  179
del 2007, 267 del 2006, 29 del 1995). 
    Si tratta, oltretutto, di  controlli  piuttosto  penetranti,  che
possono sboccare  anche  in  provvedimenti  a  carattere  lato  sensu
sanzionatorio. 
    Si veda, ad esempio, il decreto-legge 10 ottobre  2012,  n.  174,
recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza  e  funzionamento
degli enti territoriali, nonche'  ulteriori  disposizioni  in  favore
delle  zone   terremotate   nel   maggio   2012»,   convertito,   con
modificazioni, con legge 7 dicembre 2012,  n.  213,  il  cui  art.  1
(rubricato: «Rafforzamento della partecipazione della Corte dei conti
al controllo sulla gestione finanziaria delle regioni»), prevede, tra
l'altro, che «(l)e sezioni regionali di  controllo  della  Corte  dei
conti esaminano i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi  delle
regioni e degli enti che compongono il Servizio sanitario  nazionale,
con le modalita' e secondo le procedure di cui all'art. 1, commi  166
e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, per la verifica del
rispetto degli  obiettivi  annuali  posti  dal  patto  di  stabilita'
interno,  dell'osservanza  del  vincolo  previsto   in   materia   di
indebitamento dall'art. 119, sesto comma, della  Costituzione,  della
sostenibilita' dell'indebitamento  e  dell'assenza  di  irregolarita'
suscettibili di pregiudicare, anche  in  prospettiva,  gli  equilibri
economico-finanziari degli  enti.  I  bilanci  preventivi  annuali  e
pluriennali e i rendiconti delle regioni con i relativi allegati sono
trasmessi alle competenti sezioni regionali di controllo della  Corte
dei conti dai presidenti delle regioni con propria  relazione»  (art.
1, comma 3); verificando «altresi' che  i  rendiconti  delle  regioni
tengano conto anche delle partecipazioni in  societa'  controllate  e
alle quali e'  affidata  la  gestione  di  servizi  pubblici  per  la
collettivita' regionale e di servizi strumentali alla regione  (...)»
(art. 1, comma 4). 
    Sul piano  sanzionatorio,  al  comma  7  del  citato  art.  1  si
stabilisce che «(n)ell'ambito della verifica di cui ai commi 3  e  4,
l'accertamento,  da  parte  delle  competenti  sezioni  regionali  di
controllo della Corte dei conti, di  squilibri  economico-finanziari,
della  mancata  copertura  di  spese,  della  violazione   di   norme
finalizzate a garantire la regolarita' della gestione  finanziaria  o
del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilita'
interno comporta per  le  amministrazioni  interessate  l'obbligo  di
adottare, entro sessanta  giorni  dalla  comunicazione  del  deposito
della pronuncia di accertamento, i provvedimenti idonei  a  rimuovere
le irregolarita' e a ripristinare gli  equilibri  di  bilancio.  Tali
provvedimenti sono trasmessi  alle  sezioni  regionali  di  controllo
della Corte dei conti che li verificano nel termine di trenta  giorni
dal ricevimento. Qualora la regione non  provveda  alla  trasmissione
dei suddetti provvedimenti o la verifica delle sezioni  regionali  di
controllo dia esito negativo, e' preclusa l'attuazione dei  programmi
di spesa per i quali  e'  stata  accertata  la  mancata  copertura  o
l'insussistenza della relativa sostenibilita' finanziaria». 
    Nessuna delle attribuzioni appena menzionate viene in gioco nella
vicenda   de   qua,   che   attiene   all'esercizio    di    funzioni
giurisdizionali, in materia di responsabilita' amministrativa e danno
erariale. 
    Nondimeno, e in via liminare, deve essere avvertito come, benche'
la condanna comminata ai consiglieri regionali  sia  stata  motivata,
sulla base della asserita negligente sottovalutazione  da  parte  dei
convenuti circa «le notizie e gli indicatori che segnalavano lo stato
di sostanziale decozione dell'azienda Casino'» (doc. n. 1, p. 97,  in
richiamo alla sentenza di primo grado) - con la conseguenza  che  «la
scelta di disporre l'aumento  di  capitale  e'  stata  effettuata  in
violazione dei principi  di  economicita',  efficienza  ed  efficacia
dell'azione amministrativa, con conseguente inutile dispersione delle
risorse regionali, indirizzate ad uno scopo  privo  di  utilita'  per
l'ente» (doc. n. 1, p. 93) -, ne'  prima,  ne'  dopo  la  vicenda  in
questione vi sia stato alcun rilievo in sede di  controllo  ad  opera
della competente sezione regionale. E, tantomeno,  l'attivazione  dei
meccanismi di allerta e di successiva sanzione, pur  concepiti  dalle
rafforzate competenze di controllo della Corte dei conti. 
    Le doglianze sollevate in questa sede dalla Regione, pertanto, si
appuntano  sul  pregiudizio  a  carico  delle  proprie   attribuzioni
costituzionali, con riferimento al  procedimento  giurisdizionale  di
accertamento  della  responsabilita'   dei   consiglieri   regionali,
nell'adozione della deliberazione. 
    Detto  altrimenti,  la  Regione  contesta  non  gia'   l'astratta
sussistenza, sul piano oggettivo, della giurisdizione della Corte dei
conti,  in  tema  di  responsabilita'  per   danno   erariale   degli
amministratori regionali, inclusi quelli delle regioni speciali (cfr.
Corte costituzionale, sentenze numeri 337 del 2009,  292  del  2001),
quanto la possibilita' di sindacare, in quella sede, un'attivita' - e
l'atto nel quale essa si e' tradotta - che, sebbene  non  formalmente
legislativa, e' stata svolta per il tramite  del  voto  reso  da  una
maggioranza di consiglieri regionali, le cui prerogative di autonomia
e  di  indipendenza  sono  presidiate  dall'art.  24  dello  Statuto,
allorche',   entro   certi   limiti,   assicura,    per    l'appunto,
l'insindacabilita'  delle  opinioni  espresse   e   dei   voti   dati
nell'esercizio delle loro funzioni. 
    In definitiva, il profilo portato  all'esame  di  codesta  ecc.ma
Corte e' quello  afferente  ai  limiti  soggettivi  del  giudizio  di
responsabilita' per danno erariale, con  riferimento  agli  atti  dei
consiglieri regionali. Limiti che sono,  per  cosi'  dire,  speculari
all'ampiezza del perimetro della guarentigia proclamata dall'art.  24
dello Statuto. 
    Con il presente  atto,  dunque,  la  Regione  ricorre  dinanzi  a
codesta ecc.ma Corte avverso la sentenza meglio indicata in epigrafe,
e tutti gli  atti  e  provvedimenti  antecedenti,  consequenziali,  o
comunque  connessi,  perche'  lesivi   delle   proprie   attribuzioni
costituzionali, e, segnatamente, della prerogativa sancita  dall'art.
24 dello Statuto, chiedendone l'annullamento, per i  seguenti  motivi
di 
 
                               Diritto 
 
1. In rito: sull'ammissibilita' del ricorso. 
    In   via   pregiudiziale,   la   Regione   ribadisce   la   piena
ammissibilita' del presente ricorso. 
    In primo luogo, dal punto  di  vista  soggettivo,  e'  ampiamente
acquisito, nella giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte,  che  il
conflitto intersoggettivo possa riguardare anche la menomazione della
prerogativa  dell'insindacabilita'  facente   capo   ai   consiglieri
regionali (cfr., ex plurimis, Corte costituzionale,  sentenza  n.  43
del 2019, secondo cui «l'immunita' consiliare di cui al quarto  comma
dell'art. 122 Cost. puo' esser fatta valere dalla regione  ricorrente
anche con riferimento a chi  non  e'  piu'  consigliere  regionale  o
presidente dell'Ufficio di Presidenza  del  Consiglio  regionale,  ma
tale era al momento dell'adozione delle delibere in questione,  cosi'
come questa Corte ha gia' ritenuto per i membri  del  Parlamento  con
riferimento all'immunita' parlamentare  di  cui  all'art.  68,  primo
comma, Cost. (sentenza n. 252 del 1999)»). 
    A  livello  oggettivo,  poi,   e'   assolutamente   pacifica   la
sindacabilita', in sede di conflitto intersoggettivo, anche  di  atti
di  natura  giurisdizionale,  in  quanto  lesivi  delle  attribuzioni
costituzionali riconosciute alle regioni. 
    Anche di recente, infatti, codesta ecc.ma Corte ha avuto modo  di
chiarire che «(i)n disparte la possibilita' che  l'atto  oggetto  del
conflitto possa essere altresi' impugnato  in  sede  giurisdizionale,
quel che rileva e' (...) il tono costituzionale del conflitto stesso,
il quale sussiste  quando  il  ricorrente  non  lamenti  una  lesione
qualsiasi, ma una lesione delle proprie  attribuzioni  costituzionali
(ex plurimis, sentenze n. 28 del 2018, n. 87 del 2015  e  n.  52  del
2013)»; sicche', «(q)uando (...) oggetto di ricorso siano sentenze  o
altri  atti  giurisdizionali,   il   conflitto   intersoggettivo   e'
costantemente  ritenuto  ammissibile,  in  presenza  delle  anzidette
condizioni, anche  laddove  l'atto  sia  non  definitivo  e  altresi'
contestualmente  impugnato  in  sede  giurisdizionale  (di   recente,
sentenze n. 259 e n. 57 del 2019, n. 2 del 2018 e n. 260  del  2016)»
(cosi', ex plurimis, Corte costituzionale, sentenza n. 22 del 2020). 
    In questa prospettiva, codesta  ecc.ma  Corte  ha  puntualizzato,
altresi', che «gli atti giurisdizionali  possono  essere  posti  alla
base di un conflitto di attribuzione tra  enti,  purche',  pero',  il
conflitto non si risolva in un mezzo improprio di censura del modo di
esercizio della funzione giurisdizionale, valendo contro  gli  errori
in iudicando i consueti rimedi previsti dagli ordinamenti processuali
delle   diverse   giurisdizioni   e   non   potendo   il    conflitto
surrettiziamente trasformarsi  in  un  ulteriore  grado  di  giudizio
avente portata generale (ex plurimis, sentenze n. 107  del  2015,  n.
252 del 2013, n. 81 e n. 72 del 2012, n. 130 del 2009, n. 195, n. 150
e n. 2 del 2007, n. 326 e n. 276 del 2003, n. 27 del 1999, n.  175  e
n. 99 del 1991, n. 285 del 1990, n. 70 del 1985, n. 183 del 1981,  n.
289 del 1974 e  n.  110  del  1970)»  (cosi',  Corte  costituzionale,
sentenza n. 224 del 2019). 
    In buona sostanza, l'ammissibilita' del conflitto intersoggettivo
da atti giurisdizionali, e' condizionata dalla sussistenza  del  tono
costituzionale, nonche' dall'esigenza che il ricorso non  si  risolva
in uno strumento atipico di impugnazione. 
    Di qui, la  piena  ammissibilita'  anche  del  presente  ricorso,
attraverso il quale, per l'appunto, la Regione  non  intende  affatto
criticare il modo di  esercizio  della  funzione  giurisdizionale  da
parte della Corte  dei  conti,  bensi'  l'esistenza  stessa  di  quel
potere,  attesa  la  peculiare  garanzia  assegnata  ai   consiglieri
regionali dall'art. 24 dello Statuto. 
2. Nel merito: a)  la  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte  in
materia di insindacabilita' dei consiglieri regionali. 
    Nel merito, e'  necessario  dare  conto,  preliminarmente,  della
copiosa  giurisprudenza  di  codesta  ecc.ma  Corte,   in   tema   di
insindacabilita' dei consiglieri regionali, sia con riferimento  alle
regioni ordinarie (cfr. art.  122,  comma  4,  Cost.)  che  a  quelle
speciali: giurisprudenza  la  quale  ha,  tra  l'altro,  delineato  i
confini della giurisdizione ordinaria e speciale, in  relazione  alle
opinioni  espresse  e   ai   voti   dati   dai   consiglieri   stessi
nell'esercizio delle loro funzioni. 
    In particolare, posso considerarsi ormai consolidati  i  seguenti
principi: 
        1. L'insindacabilita' prevista per i  membri  del  Parlamento
(cfr. art. 68 Cost.) e per i consiglieri regionali (cfr.  122,  comma
4, Cost., nonche' le specifiche disposizioni degli Statuti  speciali,
tra cui l'art. 24 dello Statuto valdostano), al di la' delle  singole
formulazioni, copre qualsiasi  responsabilita',  e  non  solo  quella
penale (in tal senso, cfr. Corte costituzionale, sentenze numeri  265
del 1997, 129 del 1996, 1150 del 1988). 
        2. Ad  avviso  di  codesta  ecc.ma  Corte,  «(l)'affermazione
dell'insindacabilita' delle  opinioni  e  dei  voti  dei  consiglieri
regionali nell'esercizio della  funzione  di  organizzazione  interna
dell'organo non fa che sviluppare coerentemente il  parallelismo  con
le guarentigie dei membri del Parlamento, di cui all'art.  68,  primo
comma,  Cost.  in   relazione   al   nucleo   essenziale   comune   e
caratterizzante delle funzioni degli organi  "rappresentativi"  dello
Stato  e  delle  regioni:  accanto  alla  funzione  primaria,  quella
legislativa, ed alla funzione d'indirizzo politico e di controllo, la
funzione di autoorganizzazione interna, pacificamente riconosciuta al
Consiglio regionale al pari che ai due rami del  Parlamento»  (cosi',
Corte costituzionale, sentenza n. 69 del 1985). Dunque, il fondamento
costituzionale della «guarentigia "delle opinioni espresse e dei voti
dati" dai consiglieri regionali,  nel  sistema  costituzionale,  trae
fondamento e trova  il  suo  ambito  in  un  determinato  modello  di
funzioni dei consigli  regionali,  ritenuto  meritevole  e  bisognoso
della tutela privilegiata apprestata  dall'art.  122,  quarto  comma,
Cost.. L'esonero da responsabilita' dei componenti dell'organo (sulla
scia di consolidate giustificazioni dell'immunita'  parlamentare)  e'
vista  funzionale  alla  tutela  delle  piu'  elevate   funzioni   di
rappresentanza politica, in primis la funzione legislativa, volendosi
garantire  da  qualsiasi  interferenza  di  altri  poteri  il  libero
processo  di  formazione  della  volonta'  politica.»  (cosi',  Corte
costituzionale, sentenza n. 69 del 1985). Essa, quindi, «non mira  ad
assicurare una posizione di privilegio ai consiglieri regionali, ma a
preservare  da   interferenze   e   condizionamenti   esterni   delle
determinazioni inerenti alla sfera  di  autonomia  costituzionalmente
riservata al Consiglio regionale (ex plurimis, sentenze  n.  195  del
2007, n. 392 e  n.  391  del  1999)»  (cosi',  Corte  costituzionale,
sentenza n. 332 del 2011). Piuttosto, «(l)a giustificazione razionale
della guarentigia poggia (...) sulla corrispondenza  fra  il  livello
costituzionale della guarentigia stessa, ed il livello costituzionale
del tipo di funzioni il cui esercizio si e' eccezionalmente  ritenuto
opportuno  sottrarre  al  controllo  giudiziario.   Quello   che   la
Costituzione  ha  inteso  proteggere,  con  disposizioni  derogatorie
rispetto  al  comune  regime  di  responsabilita',  e'   un   modello
funzionale che essa stessa ha delineato ed appunto percio' ha  potuto
valutare  meritevole  dell'eccezionale  protezione»   (cosi',   Corte
costituzionale, sentenza n. 69 del 1985). 
        3.  A  differenza  di  quanto  prescritto  per  la   garanzia
apprestata  dall'art.  68  Cost.   per   i   membri   delle   Camere,
l'insindacabilita' dei consiglieri regionali non e'  pero'  assoluta.
Essa  incontra  specifici   limiti,   atteso   il   diverso   statuto
costituzionale  del  Parlamento  rispetto  agli  organi   legislativi
regionali. Come insegnato da codesta ecc.ma Corte, infatti: «Per  una
adeguata interpretazione dell'immunita' sancita dall'art. 122, quarto
comma, della Costituzione, occorre confrontare tale norma con le piu'
ampie guarentigie concesse ai  membri  del  Parlamento  dall'art.  68
della  Carta.  Al  fine  di  tutelare  la  piena   indipendenza   del
Parlamento, in relazione all'altissima funzione ad esso riservata, la
Costituzione stabilisce che nessun membro del Parlamento  puo'  esser
sottoposto a procedimento penale ne'  esser  privato  della  liberta'
personale senza autorizzazione della Camera cui appartiene (art.  68,
secondo  e  terzo  comma,  Cost.).  All'ulteriore  scopo  di  rendere
pienamente libere le discussioni che si svolgono nelle Camere, per il
soddisfacimento  del  superiore  interesse  pubblico  connessovi,   i
parlamentari non sono responsabili per le opinioni espresse e  per  i
voti dati nell'esercizio delle loro funzioni (art. 68,  primo  comma,
Cost.). Siffatte eccezionali deroghe  all'attuazione  della  funzione
giurisdizionale, considerate necessarie a salvaguardia dell'esercizio
delle funzioni sovrane spettanti al Parlamento,  risultano  legittime
in quanto sancite dalla Costituzione. Le  attribuzioni  dei  consigli
regionali  si  inquadrano,  invece,  nell'esplicazione  di  autonomie
costituzionalmente garantite,  ma  non  si  esprimono  a  livello  di
sovranita'. Cosi' il legislatore  costituente  ha  previsto  all'art.
122, quarto comma, Cost.,  la  non  responsabilita'  dei  consiglieri
regionali per le opinioni espresse  ed  i  voti  dati  nell'esercizio
delle loro funzioni. Le attribuzioni del Consiglio regionale sono  in
parte disciplinate dalla stessa Costituzione e in parte  dalle  altre
fonti normative cui la prima rinvia: spiccano tra  esse  la  funzione
legislativa e di indirizzo politico. La  irresponsabilita'  in  esame
comprende  quindi  certamente  le  opinioni  ed  i  voti  manifestati
nell'esercizio delle funzioni spettanti al Consiglio»  (cosi',  Corte
costituzionale, sentenza n. 81  del  1975;  sulla  distinzione  della
posizione  costituzionale  del  Parlamento   rispetto   ai   consigli
regionali, anche ai fini del regime di  insindacabilita',  cfr.  pure
Corte costituzionale, sentenze numeri 39 del 2014, 337 del 2009,  292
del 2001). 
        4. La parzialmente diversa finalita' di tali garanzie  per  i
consiglieri regionali, non implica, pero',  come  appena  visto,  che
l'insindacabilita' sia  loro  assicurata  solo  nell'esercizio  della
funzione legislativa, riferendosi invece l'art. 122, comma 4,  Cost.,
anche alle «altre funzioni» svolte, a norma dell'art. 121,  comma  2,
Cost. («Vero e' che, come per il Parlamento,  cosi'  per  i  consigli
regionali le funzioni costituzionalmente previste non si  esauriscono
in   quella   legislativa.   Accanto   alla   potesta'   legislativa,
d'indirizzo, di controllo e regolamentare riservate alle regioni,  il
Consiglio regionale esercita (art. 121,  secondo  comma,  Cost.)  "le
altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi". (...).
E' questo il modello funzionale, che la  disposizione  sull'immunita'
ha per presupposto sistematico, nel senso che con la  guarentigia  in
esame si e' voluto  garantire  il  libero  esercizio  delle  funzioni
tipiche   ed   esclusive   riservate    al    Consiglio    regionale,
differenziando, per questo, la posizione dei consiglieri regionali da
quella dei componenti di tutti gli altri organi investiti di funzioni
ovviamente diverse»: cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 69  del
1985). Lo stesso si deve dire, peraltro,  per  l'insindacabilita'  ex
art. 24 dello Statuto, dal momento che, in base  al  successivo  art.
26, il Consiglio regionale esercita, oltre alle  «funzioni  normative
di competenza della  Regione»,  anche  le  «altre»  attribuite  dallo
Statuto medesimo e dalle leggi dello Stato. 
        5. In quest'ottica, la Corte costituzionale, se, da un  lato,
ha affermato come «la forma amministrativa», che talvolta connota  le
deliberazioni  consiliari,  di  per  se',  «non  valga  ad  escludere
l'irresponsabilita' di coloro che  le  adottarono  nell'esercizio  di
competenze spettanti  al  Consiglio»  (cosi',  Corte  costituzionale,
sentenza  n.  81  del  1975),   dall'altro   ha   precisato   che   «
(n'ampliamento    della     portata     dell'immunita'     risultante
dall'ampliamento, rispetto al modello costituzionale, delle  funzioni
riservate al Consiglio regionale puo' essere operato, ove consentito,
soltanto con legge  dello  Stato,  perche'  soltanto  il  legislatore
statale  puo'  assicurare,  come  e'  costituzionalmente  necessario,
un'uguale   protezione   ai   consiglieri   di   tutte   le   Regioni
nell'esercizio delle medesime funzioni e  perche'  soltanto  una  sua
scelta  sarebbe  conforme  al  principio  di  legalita'   che   regge
compiutamente  il  sistema  Penale»  (cosi',  Corte   costituzionale,
sentenza n. 69 del 1985). 
        6. Corollario di tale giurisprudenza e', dunque, che,  al  di
fuori dell'esercizio di funzioni legislative, la valutazione  se  gli
altri  atti  del  Consiglio  regionale  rientrino  nella   sfera   di
insindacabilita' garantita, non  dipende  da  un  criterio  meramente
formale (l'essere, l'atto adottato, amministrativo o  meno),  ma  dal
fondamento della funzione  concretamente  esercitata:  «Questa  Corte
osserva a tal proposito che, senza alcun  dubbio,  l'insindacabilita'
dei deputati regionali concerne qualsivoglia funzione loro  conferita
dalla  Costituzione  e  dalle  fonti  normative  cui   essa   rinvia,
quand'anche essa assuma «forma amministrativa» (sentenza  n.  81  del
1975),  poiche'  «il   criterio   di   delimitazione   dell'immunita'
consiliare non sta  nella  forma  amministrativa  degli  atti  [...],
bensi' nella fonte attributiva delle funzioni  stesse.  Sono  coperte
dall'immunita' le funzioni  amministrative  attribuite  al  Consiglio
regionale in via immediata ed esclusiva dalla Costituzione e da leggi
dello Stato. Non sono, per contro, coperte  dall'immunita'  eventuali
altre  funzioni  amministrative,  attribuite   al   Consiglio   dalla
normativa  regionale»  (sentenza  n.  69  del  1985)»  (cosi',  Corte
costituzionale, sentenza n. 337 del 2009). 
    In altri termini, l'accertamento da compiersi attiene non ad  una
disamina formale ("Non rileva invece la  «forma  amministrativa»  che
connota le deliberazioni consiliari, nel senso che cio'  non  esclude
l'immunita' consiliare": cosi', Corte costituzionale, sentenza n.  43
del 2019), ma ad un esame  sostanziale  sulla  "riconducibilita'",  o
meno,    delle    funzioni    esercitate     a     quelle     coperte
dall'insindacabilita' (cfr., Corte  costituzionale,  sentenze  numeri
337 del 2009, 289 del 1997). 
    Peraltro,  nella  verifica  della  linea  di  confine  tra   atti
sindacabili e non, codesta Ecc. ma  Corte  ha  messo  in  risalto  la
necessita' di  una  valutazione  di  ragionevolezza,  nel  senso  che
l'irresponsabilita'   «non   copre   gli   atti   non   riconducibili
ragionevolmente all'autonomia  ed  alle  esigenze  ad  essa  sottese»
(cosi', Corte costituzionale, sentenza n. 289 del 1997). 
        7. E'  appena  il  caso  di  osservare,  sulla  scorta  della
giurisprudenza di codesta Ecc. ma Corte, come  il  predetto  criterio
sostanzialistico valga solo per gli atti non legislativi,  risultando
viceversa pacifico che, allorche' il Consiglio regionale eserciti  le
proprie competenze nella forma della legge, i consiglieri  non  siano
comunque chiamati a rispondere per le opinioni espresse e i voti dati
nell'esercizio delle loro funzioni. In questa  direzione,  milita  la
giurisprudenza di codesta Ecc.ma Corte., secondo  la  quale,  per  le
delibere  legislative,  torna  «a  prevalere  il   criterio   formale
dell'imputazione dell'atto» (cosi', Corte - sentenza n. 43 del  2019,
richiamando Corte costituzionale,  sentenza  n.  100  del  1986).  Ad
analoghe conclusioni, sia detto per inciso, si  deve  giungere  anche
per le cc. dd. leggi-provvedimento regionali - quali certamente sono,
ad esempio, quelle che dispongono  la  costituzione  o  l'aumento  di
capitale  di  una  societa'  a  partecipazione  pubblica  (cfr  Corte
costituzionale, sentenza n. 18 del 2013) - sulla cui ammissibilita' -
salvo che la legge statale lo vieti espressamente - codesta  Ecc.  ma
Corte si e' da  tempo  pronunciata  in  senso  favorevole  (cfr.,  ad
esempio, Corte costituzionale, sentenza n. 20  del  2012:  «In  linea
generale, la Corte ha ritenuto, anche  con  riguardo  alla  sfera  di
competenza delle Regioni, che  «nessuna  disposizione  costituzionale
(...) comporta una riserva agli organi amministrativi  o  "esecutivi"
degli atti a contenuto particolare e concreto» (ex plurimis, sentenza
n. 143 del 1989; in precedenza, sentenza n.  20  del  1956),  benche'
abbia precisato che le leggi provvedimento debbono soggiacere «ad  un
rigoroso scrutinio di legittimita' costituzionale per il pericolo  di
disparita' di trattamento insito in previsioni di tipo particolare  e
derogatorio»  (ex  plurimis,  sentenza  n.   202   del   1997)";   in
particolare, «(n)el vigore della revisione della Parte II del  Titolo
V della Costituzione, si e'  aggiunto  che  legittimamente  la  legge
dello Stato, nell'esercizio di una competenza che le e' riservata  in
via esclusiva, puo' vietare che la funzione amministrativa  regionale
venga esercitata in via legislativa (sentenze n. 44 del 2010, n.  271
e n. 250 del 2008; ordinanza n. 405 del 2008)». 
        8.  Per  quel   che   concerne   le   funzioni   direttamente
riconducibili alla Costituzione o allo Statuto speciale,  sicuramente
attratte sotto  l'ombrello  dell'insindacabilita',  codesta  Ecc.  ma
Corte ha identificato, oltre al caso, come  detto,  di  esercizio  di
funzione legislativa, anche le ipotesi di esercizio di:  a)  funzione
d'indirizzo politico;  b)  funzione  di  controllo,  c)  funzione  di
auto-organizzazione interna. 
    3. (Segue): b) la speciale posizione ordinamentale del Casino' di
Saint Vincent e il suo regime giuridico. 
    Per  poter  adeguatamente  apprezzare  il  merito  del   presente
ricorso, occorre ricostruire, inoltre, la posizione ordinamentale del
Casino' di Saint Vincent e il suo regime giuridico. 
    E' noto come i presupposti per l'apertura di una  Casa  da  gioco
nel territorio  della  Valle  d'Aosta  risiedano  nella  legislazione
nazionale, che abilita la Regione,  in  deroga  ai  generali  divieti
penali, a consentire l'esercizio del gioco d'azzardo  nel  Comune  di
Saint Vin. 
    Come ricordato anche da codesta Ecc. ma Corte, nella sentenza  n.
152 del 1985, infatti, gia' la sentenza 7 dicembre 1963 delle Sezioni
Unite Penali della  Corte  di  cassazione  riconobbe  che  «le  leggi
sull'ordinamento finanziario della Valle d'Aosta 29 luglio  1949,  n.
486 e  29  novembre  1955,  n.  1179  contenevano  implicitamente  il
riconoscimento della liceita' dell'esercizio della casa da  gioco  (e
cio' perche' i bilanci regionali, in  cui  erano  indicate  anche  le
entrate  relative  alla  concessione  del  casino',  costituivano  la
premessa indispensabile, recepita in quelle leggi  che  determinavano
il contributo dello Stato  alle  finanze  regionali,  essendo  questo
vincolato nel suo ammontare ai bisogni della Regione)». 
    Sempre codesta Ecc. ma Corte, nella sentenza n. 152 del 1985,  ha
evidenziato che l'art. 2, legge 6 dicembre  1971,  n.  1065,  recante
«Revisione dell'ordinamento finanziario della Regione Valle  d'Aosta»
(con  formula  poi  integralmente  ripetuta  dall'art.  1,  legge  26
novembre  1981,  n.  690,  intitolata   «Revisione   dell'ordinamento
finanziario della regione Valle d'Aosta»),  «indica  tra  le  entrate
proprie della Regione  le  "entrate  di  diritto  pubblico,  comunque
denominate,  derivanti  da  concessioni   od   appalti".   E   questa
disposizione, come si evince dai lavori preparatori, nel  parlare  di
appalti, non puo' essere interpretata che nel senso di  riferirsi  ai
proventi della gestione  del  casino'.  La  norma  che  autorizza  la
Regione a gestire la casa da gioco, quindi, non e' piu' implicita, ma
si desume in via di interpretazione  da  una  apposita  disposizione,
che,  anche  se  inserita  in  una  legge  finanziaria,   ha   natura
sostanziale introducendo una deroga all'art. 718 del  codice  penale.
Questa interpretazione, del resto,  costituisce  la  "norma  vivente"
nell'ordinamento, essendo  quella  accolta  dalla  giurisprudenza  ed
avendo costituito la base del comportamento della P.A., che ha sempre
operato nel presupposto  della  legittima  esistenza  della  casa  da
gioco». 
    E' opportuno, a questo proposito, sottolineare non  solo  l'ovvia
circostanza  che  l'attivita'  del  Casino'  di  Saint  Vincent   sia
qualificata come assolutamente lecita, ma che essa e' stata  ritenuta
strumentale alla provvista di entrate di diritto pubblico nell'ambito
dell'assetto finanziario della Regione. 
    In particolare, come segnalato dalla menzionata giurisprudenza di
codesta Ecc.ma Corte, andando  a  compone  le  entrate  del  bilancio
regionale (in una misura pari al 10% degli incassi), gli introiti del
Casino' di Saint  Vincent  concorrevano  (e  concorrono)  anche  alla
definizione del contributo statale alle finanze regionali. 
    Tanto  piu'  che,  con   riferimento   al   proprio   ordinamento
finanziario,  la  Regione,  ancorche'  speciale,  non  dispone,  come
risaputo, di assoluta  autonomia  in  siffatta  materia,  dovendo  il
regime  delle  entrate  di  diritto  pubblico  essere   oggetto   del
procedimento collaborativo previsto per i decreti di attuazione dello
statuto, ai sensi dell'art. 48-bis  del  medesimo  (sul  punto,  cfr.
Corte costituzionale, sentenza n. 133 del 2010). 
    Di conseguenza, le scelte  relative  al  destino  della  Casa  da
gioco,   rifluiscono,   fatalmente,   sulla   provvista   finanziaria
regionale, senza che, ad  esempio,  in  caso  di  liquidazione  della
medesima,  la   Regione   possa   compensare   le   mancate   entrate
predisponendo autonomamente altri strumenti di fiscalita'. E'  appena
il caso di ricordare, a tal proposito, come, essendo commisurate agli
incassi, le entrate siano state  sempre  capaci  di  assicurare  alla
Regione una provvista tutt'altro che trascurabile, anche nei  periodi
di maggiore difficolta' finanziaria. 
    Emerge,  pertanto,  un  profilo  di  assoluta   specialita'   che
distingue la policy regionale relativa al Casino' di  Saint  Vincent,
da tutte le attivita' di produzione di servizi promosse  direttamente
o indirettamente dalla Regione stessa nel  perseguimento  dei  propri
fini istituzionali. 
    La peculiarita' consiste,  in  particolare,  da  un  lato,  nella
circostanza che si tratta di un  servizio  che  non  potrebbe  essere
offerto sul libero mercato,  stante  la  generale  illiceita'  penale
(salvo deroga legislativa) del gioco d'azzardo,  e,  dall'altro,  nel
fine perseguito, che e' quello di fornire alla Regione una  specifica
fonte di finanziamento del  proprio  bilancio  nell'ambito  del  piu'
generale ordinamento finanziario, il quale costituisce il  fondamento
operativo per l'esercizio della propria autonomia costituzionale. 
    Quanto al regime giuridico, la Casa da gioco opera, praticamente,
dalla  costituzione  della  Regione,  che  ha  provveduto  alla   sua
istituzione con decreto del Consiglio regionale n. 241/3, in  data  3
aprile 1946. La sua  gestione  e'  stata  affidata,  dapprima  ad  un
soggetto  concessionario,   in   seguito   ad   una   amministrazione
straordinaria (cfr. legge regionale 21 dicembre 1993, n.  88)  e  dal
2001 (cfr. legge regionale 30 novembre 2001,  n.  36)  alla  societa'
«Casino' de la Vallee S.p.A.», a totale  capitale  pubblico,  con  la
previsione che solo la Regione e i  Comuni  ubicati  al  suo  interno
potessero acquisire la qualita' di soci dell'organismo al  quale  era
affidata la gestione della Casa da gioco  (art.  2).  In  un  secondo
tempo, alla  societa'  e'  stata  affidata  dalla  Regione  anche  la
gestione  del  complesso   immobiliare   «Grand   Hotel   Billia   di
Saint-Vincent», mediante il conferimento del  patrimonio  immobiliare
della societa' che, in precedenza, aveva in uso la struttura. 
    Allo  scopo  di  definire  compiti,  attivita'  e  modalita'   di
intervento  della  Regione  nel  settore  della  Casa  da   gioco   e
dell'annesso complesso  immobiliare,  e'  stata  approvata  la  legge
regionale  23  dicembre  2009,  n.  49,  recante   «Linee-guida   per
l'ottimizzazione ed il rilancio delle  strategie  di  sviluppo  della
Casa da gioco  e  del  complesso  aziendale  Grand  Hotel  Billia  di
Saint-Vincent. Modificazioni alla legge regionale 30  novembre  2001,
n. 36 (Costituzione di una societa' per azioni per la gestione  della
Casa da gioco di Saint-Vincent)». 
    Nel dettaglio, l'art. 2 della legge suddetta (non impugnata dallo
Stato) ha previsto, per l'anno 2010, un aumento di capitale,  pari  a
euro 98.000.000. 
    Inoltre, l'art. 3 ha stabilito che la Regione  possa  intervenire
per il finanziamento degli investimenti disposti da un apposito piano
di sviluppo (approvato dal  Consiglio),  attraverso  trasferimenti  a
Casino' de la Vallee S.p.A, la cui entita' e' determinata annualmente
con  la  legge  finanziaria,  tenuto   conto   della   programmazione
finanziaria approvata dal Consiglio. 
    Successivamente, a seguito della dichiarazione di apertura di una
procedura di concordato preventivo da parte  del  Tribunale  d'Aosta,
l'art. 1 ,legge regionale 4 luglio 2019, n. 8,  ha  statuito  che  «i
crediti residui, per capitale e  interessi,  quantificati  nel  piano
concordatario in euro 48.088.055,08, derivanti dai contratti di mutuo
stipulati in  favore  della  predetta  societa'  per  il  tramite  di
Finaosta S.p.A.  per  il  finanziamento  del  piano  di  investimenti
relativi alla ristrutturazione della Casa da gioco e del Grand  Hotel
Billia di Saint-Vincent, ai sensi della legge regionale  23  dicembre
2009, n. 49 (Linee-guida per l'ottimizzazione ed  il  rilancio  delle
strategie di sviluppo della Casa da gioco e del  complesso  aziendale
Grand  Hotel  Billia  di  Saint-Vincent.  Modificazioni  alla   legge
regionale 30 novembre 2001, n. 36 (Costituzione di una  societa'  per
azioni per la gestione della Casa da  gioco  di  Saint-Vincent)  ,  e
autorizzati, quanto a euro 50.000.000, con deliberazione della Giunta
regionale n. 1465 del 20 luglio 2012, quanto a euro  10.000.000,  con
deliberazione della Giunta regionale n. 1527  in  data  20  settembre
2013 e, quanto a euro  20.000.000,  con  deliberazione  della  Giunta
regionale  n.  1856  del   10   dicembre   2015,   sono   convertiti,
condizionatamente all'omologazione del concordato preventivo ai sensi
dell'art. 180 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del
fallimento,   del   concordato    preventivo,    dell'amministrazione
controllata e della iquidazione coatta  amministrativa),  in  apporto
patrimoniale a fronte della  sottoscrizione,  da  parte  di  Finaosta
S.p.A.,  in  nome  e  per  conto   della   Regione   autonoma   Valle
d'Aosta/Vallee d'Aoste, di uno  strumento  finanziario  partecipativo
(SFP), emesso da Casino' de la  Vallee  S.p.A.,  ai  sensi  dell'art.
2346, ultimo comma, del  codice  civile,  previa  approvazione  delle
modificazioni dello statuto sociale e del  regolamento  del  predetto
SFP di cui agli  allegati  A  e  B  alla  presente  legge,  da  parte
dell'assemblea straordinaria dei soci». 
    Anche la legge regionale 4 luglio 2019, n.  8  -  cosi'  come  la
legge regionale 23 dicembre 2009, n. 49 -peraltro, non e'  mai  stata
impugnata dallo  Stato  in  contestazione  della  legittimita'  delle
scelte normative ivi contenute. 
    A conclusione di questo breve excursus, possono compiersi  alcune
valutazioni rilevanti ai fini del presente ricorso. 
    La prima attiene, lo si ripete, allo specialissimo  ruolo  svolto
dall'attivita' del Casino' di Saint Vincent nell'ambito delle vicende
dell'autonomia valdostana sia sotto il  profilo  della  realizzazione
«dell'interesse  pubblico  prioritario  dello   sviluppo   economico,
turistico ed  occupazionale  della  Valle  d'Aosta»  (art.  3,  legge
regionale 30 novembre 2001,  n.  36),  sia  quale  strumento  per  il
procacciamento di  entrate  pubbliche  al  di  fuori  degli  ordinari
meccanismi impositivi previsti dalla  legislazione  generale.  Appare
cioe' evidente che il settore  di  policy  relativo  al  destino  del
Casino' di  Saint  Vincent,  non  costituisca  un  ambito  secondario
dell'attivita' regionale, ma rilevi  con  riferimento  alla  politica
generale della Regione. 
    La seconda considerazione attiene alla  circostanza  che,  quanto
alla modalita' degli interventi relativi alla disciplina  della  Casa
da gioco, e' chiara la fungibilita' degli  strumenti  utilizzati  per
operare identiche o analoghe tipologie di interventi. Basti  pensare,
ad esempio, che, a fronte della previsione di cui all'art.  1,  comma
2, legge regionale 30 novembre 2001, n. 36, secondo cui  «lo  statuto
della Casino' de la Vallee S.p.A.  e  ogni  successiva  modificazione
sono approvati con deliberazione del Consiglio regionale»,  la  legge
regionale 4 luglio 2019,  n.  8,  provvede  essa  stessa  ad  operare
direttamente una modifica del medesimo statuto. 
    Sotto altro profilo,  ancor  piu'  rilevante,  in  considerazione
dell'oggetto   della   deliberazione   che   avrebbe    fondato    la
responsabilita' amministrativa dei  consiglieri  regionali,  si  deve
constatare come operazioni di aumento  del  capitale  sociale  (e  di
intervento sull'assetto finanziario della Casa da gioco: si pensi, da
ultimo, alla legge  regionale  4  luglio  2019,  n.  8)  siano  state
disposte sia, appunto, mediante la deliberazione de qua, ma anche  in
forza di atti legislativi, come nel caso dell'art. 2, legge regionale
23 dicembre 2009, n. 49. A ben guardare, anzi, il fatto che l'aumento
di capitale di cui all'art. 2 legge regionale 23  dicembre  2009,  n.
49, sia stato disposto in un tempo successivo all'entrata  in  vigore
dell'art. 32, comma 3, legge regionale 10 aprile 1997,  n.  12  -  il
quale ha attribuito al Consiglio la competenza per la sottoscrizione,
a titolo di aumento di  capitale,  per  partecipazioni  superiori  al
cinquanta per cento, e sulla cui base, pertanto, e' stata adottata la
deliberazione in parola  -,  certifica,  anche  sul  piano  empirico,
l'assoluta fungibilita' delle forme decisionali -  «legislativa»,  da
un  lato,  «amministrativa»,  dall'altro  nella  disponibilita'   del
Consiglio medesimo. 
    Ebbene,  alla  luce  delle  riflessioni  che  precedono,   appare
quantomeno problematico, nel caso di specie, applicare meccanicamente
il   criterio,   pur   astrattamente   lineare,    elaborato    dalla
giurisprudenza di codesta Ecc. ma  Corte,  per  accertare  l'avvenuta
lesione delle attribuzioni regionali,  costituzionalmente  garantite,
rispetto  alla  configurabilita'  della  giurisdizione  del   giudice
contabile. Si tratta invece,  a  tacer  d'altro,  di  applicare  quel
criterio di  «ragionevolezza»,  quanto  alla  riconducibilita'  della
deliberazione  «all'autonomia  regionale  e  alle  esigenze  ad  essa
sottese», enunciato, come visto supra al paragrafo n. 2,  proprio  da
codesta Ecc. ma Corte (cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 289 del
1997). 
    Nelle   circostanze   teste'   descritte,   infatti,    escludere
l'insindacabilita'  dei  consiglieri  regionali  -   allorche'   sono
intervenuti   nella   forma   amministrativa   della    deliberazione
consiliare, darebbe  luogo  a  un'insanabile  contraddizione  tra  le
premesse secondo cui la valutazione dell'insindacabilita' degli  atti
amministrativi  debba  essere  compiuta  sulla  base  di  valutazioni
sostanzialistiche  (la  riconducibilita',  o  meno,   alle   funzioni
riconosciute al Consiglio regionale dalla Costituzione e dalle  leggi
statali) e la conclusione secondo cui  la  legittima  scelta  di  una
certa  forma  (la  legge)   piuttosto   che   di   un'altra   (l'atto
amministrativo) da parte dello stesso organo, a parita' di  contenuto
sostanziale della deliberazione, possa  condurre,  sotto  il  profilo
soggettivo, a differenti  esiti  in  termini  di  applicabilita'  del
regime dell'insindacabilita'. 
    Cio', infatti, e' quanto avvenuto con riferimento ai due  aumenti
di capitale della Societa' che gestisce il Casino', prima  con  legge
regionale 23 dicembre 2009, n. 49 - la quale, lo si ribadisce, non e'
mai stata impugnata dallo Stato dinanzi a codesta Ecc. ma Corte  -  e
poi con la deliberazione di cui si discorre. 
    Ne' si  puo'  dire  che,  trattandosi  di  ipotesi  astrattamente
differenti, e' proprio tale  diversita'  a  giustificare  un  diverso
trattamento della responsabilita'. Al contrario, proprio  in  ragione
dell'approccio sostanzialistico valorizzato dalla  giurisprudenza  di
codesta Ecc. ma Corte, e' al concreto contenuto dell'atto,  alla  sua
natura funzionale e alla sua finalita', che si deve fare riferimento. 
    Parimenti, non si puo'  sostenere  che  il  mancato  accertamento
della responsabilita' produrrebbe «effetti deleteri», dal momento che
priverebbe lo Stato del recupero di somme a  titolo  di  danno.  Come
tutte le ipotesi di  «scriminanti»,  infatti,  il  concretarsi  della
condotta astrattamente e asseritamente  illecita  (e  la  conseguente
astratta possibilita' di determinazione di  «danno»)  non  ha  alcuna
rilevanza, in ordine all'imputazione della relativa responsabilita'. 
    D'altra   parte,   gli   asseriti   «effetti   deleteri»    della
deliberazione - peraltro, del tutto  indimostrati,  alla  luce  delle
vicende successive della Casa da gioco, ben avrebbero  potuto  essere
evidenziati in sede di controllo  sulla  gestione  finanziaria  della
Regione  e  delle   sue   partecipate,   nell'ambito   dell'attivita'
istituzionale della Corte dei conti, cio' che, come ricordato  supra,
non e' avvenuto (non e' da  escludere,  peraltro,  che  proprio  tale
circostanza possa aver ingenerato,  in  punto  di  merito,  anche  un
legittimo affidamento nei consiglieri  regionali  sulla  legittimita'
dei vari interventi compiuti negli anni). 
    Infine, non puo' essere  trascurata,  in  un'ottica  prognostica,
l'incidenza    di    un'interpretazione    formalistica     dell'area
dell'insindacabilita', sull'attivita' futura dei Consigli  regionali,
non  solo  per  il  condizionamento  della   relativa   autonomia   e
indipendenza,  ma  anche  perche'  indurrebbe,   verosimilmente,   ad
accentuare il  ricorso  allo  strumento  legislativo,  per  avere  la
certezza che scelte di rilevante impatto  economico  e  politico  non
espongano i loro membri al rischio di responsabilita',  nel  caso  di
adozione delle medesime deliberazioni con atti di natura diversa.  Si
cadrebbe, insomma, in  una  sorta  di  «legislazione  difensiva»,  o,
comunque, in una reticenza nell'assunzione delle  responsabilita'  di
direzione politica, in contraddizione  proprio  con  la  funzione  di
garanzia     tradizionalmente     rivestita     dalla     prerogativa
dell'insindacabilita', e con l'autonomia costituzionale dei  Consigli
regionali. 
    4. (Segue): c) la deliberazione del Consiglio regionale come atto
di indirizzo politico e la lesione della guarentigia di cui  all'art.
24 dello Statuto ad opera  della  sentenza  della  Corte  dei  conti,
Sezione Terza Giurisdizionale Centrale di Appello. 
    In questa cornice, quindi, e' possibile cogliere la natura  della
deliberazione come atto di indirizzo politico,  e,  conseguentemente,
la menomazione inferta alla prerogativa ex art. 24 dello statuto, per
mano  della  sentenza  della   Corte   dei   conti,   Sezione   Terza
Giurisdizionale Centrale di Appello. 
    Sul  punto,  invero,  la   Corte   dei   conti,   Sezione   Terza
Giurisdizionale Centrale di Appello, ha tratteggiato  la  distinzione
tra  attivita'  politica  (insindacabile)  e  attivita'  di  concreta
gestione (sindacabile), rimarcando che «la  delibera  contestata  non
aveva natura di atto politico di indirizzo generale ed astratto,  che
avrebbe comportato la previsione di insindacabilita'  dell'art.  122,
comma 4, della  Costituzione,  ma  configurava  un  atto  concreto  e
gestionale, finalizzato alla tutela di  uno  specifico  interesse  e,
quindi, come tale sottoposto alla verifica giurisdizionale» (doc.  n.
1, p. 63). 
    Le conclusioni cui e' pervenuta la Corte dei conti, Sezione Terza
Giurisdizionale Centrale di Appello, non convincono sotto un  duplice
profilo, in astratto e in concreto. 
    Non appare infatti corretto ritenere che la nozione di  «atto  di
indirizzo   politico»,   fatta   propria   dal   giudice   contabile,
nell'elaborare la predetta distinzione, coincida  esclusivamente  con
gli atti (e gli indirizzi) di carattere generale  ed  astratto.  Cio'
vale sia con riferimento all'attivita' legislativa (risultando  ormai
acquisita  nel  nostro  ordinamento  l'ammissibilita'  di  leggi  ne'
generali,   ne'   astratte,   quali,   ad   esempio,   le   cc.   dd.
leggi-provvedimento, tra cui  possono  senz'altro  rientrare,  lo  si
rammenta  ancora  una  volta,  quelle  che  dispongono  l'aumento  di
capitale di  una  societa'  a  partecipazione  pubblica:  cfr.  Corte
costituzionale, sentenza n. 18 del 2013), sia in ordine all'attivita'
non legislativa (si pensi alla  nomina  di  un  assessore,  la  quale
peraltro,  pur  essendo  una  scelta  politica,  non  e'  interamente
sottratta al sindacato giurisdizionale:  cfr.  Corte  costituzionale,
sentenza n. 81 del 2012; o, piu' di recente, alla delibera con cui il
Consiglio dei Ministri ha negato l'apertura delle trattative  per  la
stipulazione  dell'intesa  di  cui  all'art.  8,   comma   3,   della
Costituzione: cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 52 del 2016). 
    Da questo angolo visuale, allora, sembra piu'  corretto  ritenere
che l'atto di indirizzo politico sia quello attraverso  il  quale  si
identificano le scelte qualificanti per la direzione di una comunita'
politica. Scelte che potrebbero astrattamente non  essere  totalmente
libere nel fine (si pensi alle leggi che  danno  attuazione  a  norme
costituzionali  programmatiche)  ne'   necessariamente   generali   e
astratte (si pensi alla legge di amnistia che certamente esprime  una
scelta di indirizzo politico), ma il cui nucleo  decisionale  esprime
comunque una amplissima  discrezionalita'  insuscettibile  di  essere
positivamente parametrata ad  una  precedente  scelta  rispetto  alla
quale essa si ponga come atto di sostanziale esecuzione. 
    Ora, per tornare al caso  di  specie,  basta  considerare  quanto
espressamente  prospettato  dalla  Corte  dei  conti,  Sezione  Terza
Giurisdizionale Centrale di Appello, per comprendere la latitudine di
scelta cui il Consiglio fosse di fronte. 
    Gia' nella parte in fatto del presente ricorso, si e'  anticipato
come la Corte dei conti, Sezione Terza  Giurisdizionale  Centrale  di
Appello. abbia addebitato  ai  consiglieri  regionali,  traendone  la
conseguenza della relativa responsabilita', di aver,  dinanzi  a  una
situazione di «grave difficolta' finanziaria», «scelto la  via  della
ricapitalizzazione mentre avrebbero potuto e  dovuto  valutare  altre
soluzioni e possibilita', che  non  hanno  preso  in  considerazione.
Osserva il Collegio che e' errato sostenere che la ricapitalizzazione
fosse imposta dall'art. 2446 del codice civile e che,  quindi,  fosse
obbligata.   L'opzione   deliberata,   infatti,   era    alternativa,
quantomeno, alla messa in liquidazione della societa' e alla cessione
da parte della Regione del ramo aziendale a terzi imprenditori o alla
concessione dell'attivita' della gestione della Casa da gioco  e  del
complesso immobiliare a terzi soggetti (come era avvenuto al  momento
dell'istituzione della Casa da Gioco nel 1946)» (doc. n. 1, p. 92). 
    In ultima analisi, il sindacato della Corte  dei  conti,  Sezione
Terza Giurisdizionale Centrale di Appello, si e' concentrato, proprio
ed  esattamente,   sul   processo   deliberativo   che   ha   portato
all'assunzione di una certa decisione piuttosto che  di  un'altra,  e
sul come e' stato in concreto valutato dai consiglieri  regionali  il
modo di soddisfare l'interesse pubblico. 
    E' sufficiente, dunque, porre mente  alle  alternative  ventilate
dal giudice  contabile  (messa  in  liquidazione;  cessione  di  ramo
aziendale a terzi imprenditori; concessione dell'intera  attivita'  a
soggetti terzi), per comprendere che tutte le  decisioni  prospettate
difficilmente avrebbero potuto essere  ricondotte  ad  atti  di  mera
gestione. Esse implicavano infatti valutazioni al piu'  alto  livello
dell'interesse      regionale,      di      ordine      eminentemente
politico-strategico, in rapporto al contingente  indirizzo  politico,
riguardo al soddisfacimento dell'interesse pubblico (in  particolare,
con riferimento alle proprie politiche di entrata e  all'esigenza  di
assicurare al  medesimo  la  provvista  di  risorse  pubbliche).  Tra
l'altro, su un piano meramente fattuale, non e' privo di  significato
- a definitiva smentita della tesi perorata  dal  giudice  contabile,
circa la presunta arbitrarieta'  e/o  irragionevolezza  delle  scelte
compiute dal Consiglio  -  che  la  deliberazione  abbia  in  realta'
garantito la continuita' della Società-Casa da Gioco,  preludio  alla
sua successiva ammissione - come visto supra nella parte in fatto del
presente ricorso - a una procedura di concordato preventivo. 
    In ogni caso, questo e' il punto fondamentale. Tutti gli atti dei
pubblici poteri (legislativi, amministrativi, altro) costituiscono (o
dovrebbero   costituire,   quando   non   patologicamente   distorte)
espressione di una valutazione e  cura  dell'interesse  pubblico:  la
differenza  fondamentale  tra  le  varie  funzioni   esercitate   nel
perseguimento di tale interesse si colloca in punto  di  ampiezza  di
valutazione    rimessa     all'organo     decidente     in     ordine
all'identificazione di tale interesse ed ai conseguenti strumenti per
perseguirlo. 
    Se si muove da queste premesse, nessuna  perplessita'  e'  lecito
nutrire quanto alla piena operativita' della garanzia di cui all'art.
24 dello Statuto, avuto riguardo anche alla deliberazione  in  esame,
mediante la quale i consiglieri regionali  si  sono  resi  partecipi,
«nei limiti previsti dallo  statuto,  delle  scelte  strategiche  che
connotano l'indirizzo politico regionale, conformemente alla  natura,
che le e'  propria,  di  organo  legislativo,  dotato  di  "autonomia
politica" (sentenza n. 66 del 1964)»  (cosi',  Corte  costituzionale,
sentenza n. 337 del 2009). 
    In  effetti,  attese  le  implicazioni  conseguenti  alle  scelte
possibili (enucleate dalla stessa  Corte  dei  conti,  Sezione  terza
giurisdizionale  centrale  di  Appello),  e'  innegabile  che,  nella
deliberazione, fossero condensate valutazioni tipicamente ascrivibili
ad atti di indirizzo politico; e, dunque - in accordo con il criterio
sostanzialistico avallato  dalla  giurisprudenza  di  codesta  Ecc.ma
Corte  -   che   la   deliberazione,   ancorche'   atto   formalmente
«amministrativo», e, comunque, «non legislativo»,  fosse,  in  virtu'
del suo concreto contenuto decisionale, ragionevolmente imputabile  a
quell'ambito  funzionale  certamente  assistito   dalla   prerogativa
fissata dall'art. 24 dello Statuto. 
    Del resto, in via piu' generale (prescindendo,  cioe',  dal  caso
specifico del Casino' di Saint Vincent), sulla natura  non  meramente
gestionale  di  tali  scelte   (e,   correlativamente,   sulla   loro
riconducibilita'   all'area    dell'indirizzo    politico),    appare
chiaramente  orientata   la   stessa   giurisprudenza   ordinaria   e
amministrativa, la quale, sebbene  in  relazione  all'ente  comunale,
scolpisce    il    perimetro    delle     scelte     di     indirizzo
politico-amministrativo. 
    A titolo esemplificativo, si  veda  Cassazione,  sez.  un.  civ.,
ordinanza  3  novembre  2009,  n.  23200,   per   la   quale,   «(l)e
deliberazioni con le quali il Comune decide  di  ridurre  la  propria
partecipazione azionaria  in  un'azienda  municipale  (nella  specie,
energetica)  trasformata  in  societa'  per  azioni,  operandone   la
privatizzazione ai sensi della legge n. 474 del 1994, e  di  adottare
modifiche  allo  statuto   della   societa'   stessa,   costituiscono
provvedimenti  di  natura  autoritativa  (preliminari  e   prodromici
rispetto alle successive deliberazioni societarie), espressione della
funzione  di  indirizzo  e  di  Governo  che  la  normativa  (decreto
legislativo  n.  267  del  2000)  assegna  al  comune  rispetto  agli
organismi  preposti  alla  produzione,  gestione  ed  erogazione  dei
servizi pubblici di pertinenza del medesimo ente». 
    Analogamente, si veda Consiglio di Stato,  sez.  V,  sentenza  23
gennaio 2019, n. 578, secondo cui «la  decisione  di  costituire  una
societa' - ma il discorso non puo' non riguardare, ad esempio,  anche
il contrarius actus  di  liquidazione  o  privatizzazione,  n.d.r.  -
ovvero di conservare o mantenere una partecipazione societaria, forma
anzitutto oggetto di una valutazione non automatica, ma  naturalmente
variabile, perche' di  ordine  eminentemente  politico-strategico  in
rapporto  al  contingente  indirizzo  politico-amministrativo   fatto
responsabilmente proprio - nell'esercizio del potere  rappresentativo
- dall'amministrazione pubblica riguardo, in primo luogo, ai «bisogni
della collettivita' di riferimento» che spetta ad essa  identificare:
cioe', in rapporto alla necessita' del loro soddisfacimento  a  mezzo
dell'erogazione di un certo servizio o della produzione  e  fornitura
di un certo bene» (nello stesso senso, cfr. Consiglio di Stato,  sez.
V, sentenza 14 ottobre 2020, n. 6222). 
    Nel  solco  delle   coordinate   ermeneutiche   tracciate   dalla
giurisprudenza teste' illustrata, si deve ammettere, tenuto conto dei
presupposti  che  hanno  indotto  il  Consiglio  ad  adottare  quella
deliberazione, che la determinazione di dare mandato alla Finanziaria
regionale (FINAOSTA) di procedere all'aumento di capitale  integrasse
una scelta idonea a influire sul destino della Società-Casa da gioco,
e sulle possibili alternative al suo mantenimento in vita nella forma
giuridica prescelta. L'aumento di capitale, cioe',  non  identificava
una scelta ordinaria di politica aziendale, e  dunque  una  modalita'
gestionale di perseguire i fini societari, ma un'opzione cruciale per
la  sopravvivenza  stessa  della  societa'.  Crucialita'   dimostrata
proprio dalle alternative prefigurate dalla Corte dei conti,  Sezione
terza  giurisdizionale   centrale   di   appello,   tutte   attinenti
all'esistenza stessa della societa', e non alla  sua  mera  gestione.
Tanto piu' che, come visto supra al  paragrafo  n.  3,  nel  passato,
alcune delle medesime scelte (istituire una societa' pubblica per  la
sua gestione o predispone aumenti di capitale)  sono  state  compiute
nella  forma  della  legge,  vale  a  dire,   mediante   l'atto   che
«paradigmaticamente» esprime l'indirizzo politico dell'ente  titolare
della relativa funzione. 
    E' interessante notare, peraltro, come anche la sentenza di primo
grado, seppure incidentalmente, e con piu' di un lapsus calami, abbia
di fatto riconosciuto la natura  della  deliberazione  come  atto  di
indirizzo politico: da un lato, quando  ha  censurato  l'operato  dei
consiglieri, per aver ignorato i «segnali  di  debolezza  finanziaria
della Societa' (gestore del Casino'),  al  limite  della  decozione»,
nonostante  che  questi  fossero  «ampiamente  conosciuti  (...)  dal
decisore  politico  (...)»  (doc.  n.  2,  p.  57);  dall'altro,  con
riferimento  alla  posizione  del   coordinatore   del   Dipartimento
bilancio,  finanze  e  patrimonio,  quanto  al  parere  reso  per  la
deliberazione di aumento  di  capitale,  nel  motivare  l'assoluzione
perche', in relazione all'atto  suddetto  la  Procura  regionale  non
aveva in effetti proposto domanda di condanna, concludendo  che  tale
circostanza «esime il collegio dalla disamina del quadro normativo di
riferimento e quindi dei poteri dello  stesso  dott.  Bieler  che  ad
avviso della  difesa  non  includevano  alcuna  attribuzione  atta  a
confutare l'indirizzo politico assunto» (doc. n. 2, p. 62). 
    Ma c'e' di piu'. Che la  deliberazione  fosse  manifestazione  di
un'attivita' consiliare volta a  compiere  scelte  strategiche  e  di
indirizzo  politico  per  la  cura  di  interessi   rilevanti   della
collettivita', e' testimoniato anche dalla  circostanza  -  anch'essa
anticipata nella parte in fatto  del  presente  ricorso  -  che,  nel
quadro dell'unitaria trattazione  del  punto  all'ordine  del  giorno
della seduta del 23 ottobre 2014, riguardante il destino  della  Casa
da gioco, il Consiglio ha mostrato di farsi  carico  complessivamente
della  policy  relativa  al  Casino'  di  Saint  Vincent,   adottando
contestualmente, e complementarmente, alla  deliberazione  stessa  un
ordine   del   giorno   (atto   sulla   cui   natura   di   indirizzo
-politico/controllo non  possono  esservi  dubbi)  di  impegno  della
Giunta regionale per lo  svolgimento  di  una  serie  di  adempimenti
finalizzati ad affrontare in modo sistematico le questioni di Governo
generale di questo asset regionale, al fine di un  suo  rilancio  (in
particolare, in quell'ordine del giorno, si legge che  il  Consiglio,
«Preso  atto  della  relazione   annuale   al   Consiglio   regionale
sull'andamento della «Casino' de la Vallee S.p.a.» e  della  proposta
di deliberazione concernente «Rafforzamento finanziario del Resort  e
Casino'  di  Saint-Vincent.  Incarico   alla   Finaosta   S.p.a.   di
sottoscrivere, in nome  e  per  conto  della  Regione,  l'aumento  di
capitale del Casino' de la Vallee S.p.a.;  (...)  impegna  la  Giunta
regionale a procedere alla costituzione di una  Task  Force  politica
che, in via straordinaria, affianchi e monitori l'azione di  rilancio
della Casa da gioco attraverso l'adozione di misure  che  valorizzino
gli investimenti fatti e migliorino la gestione della Casa da  gioco,
avendo, tra  gli  altri,  come  primi  indirizzi  non  esaustivi  ne'
limitativi del ruolo della Task Force stessa» (doc. n. 3). 
    E' evidente,  pertanto,  come  la  deliberazione  si  inscrivesse
all'interno di  una  complessa  e  articolata  iniziativa  di  policy
pubblica (di cui la  deliberazione  medesima  rappresentava  solo  un
primo atto emergenziale, in vista di  una  complessiva  strategia  di
riqualificazione che avrebbe implicato ulteriori scelte di  indirizzo
politico) svolta dal massimo  organo  politico-rappresentativo  della
Regione,  per  fronteggiare  una  situazione  che  richiedeva  scelte
rilevanti  di   responsabilita'   politica.   Iniziativa,   peraltro,
preceduta da un'attivita' istruttoria  e  dall'esame  delle  proposte
degli  organi  di  gestione  della  Società-Casa  da  gioco,  da  cui
provenivano  anche   indicazioni   e   richieste   in   ordine   alle
determinazioni da assumere  (cfr.  ancora  l'ordine  del  giorno  del
Consiglio rivolto alla  Giunta:  doc.  n.  3),  rispetto  alla  quale
spettava  al  Consiglio   stesso   proprio   la   valutazione   delle
implicazioni  sul  piano  dell'interesse  pubblico  della   comunita'
regionale da esso rappresentata. 
    Infine, non va dimenticato come l'aumento  di  capitale  di  euro
60.000.000 non conseguisse automaticamente  dalla  deliberazione,  ma
richiedesse l'intervento della Finanziaria regionale (FINAOSTA),  cui
il  Consiglio  dava   mandato   affinche'   eseguisse   l'operazione,
attraverso la gestione speciale di cui agli articoli 6  e  11,  legge
regionale 16 marzo 2006, n.  7.  Che  tale  attivita'  di  attuazione
dell'indirizzo stabilito dal Consiglio non  costituisse  una  mera  e
pedissequa esecuzione, residuando in capo alla  Societa'  un  margine
valutativo e gestionale, e' dimostrato dal fatto  che  il  mandato  a
sottoscrivere di cui  alla  deliberazione  fosse  conferito  «per  un
importo massimo» di euro 60.000.000. 
 
                       Istanza di sospensione 
 
    In via cautelare, la Regione chiede, ai sensi e per  gli  effetti
dell'art. 40, legge 11 marzo 1953, n. 87, che  codesta  Ecc.ma  Corte
voglia disporre la sospensione dell'esecuzione della sentenza  meglio
indicata in epigrafe. 
    Il fumus boni iuris emerge ictu oculi  dalle  argomentazioni  che
precedono. 
    Per quel che attiene al periculum in mora  -  ferme  restando  le
considerazioni, di ordine generale, sviluppate supra al paragrafo  n.
3, a proposito delle ricadute, derivanti da un approccio formalistico
nella  determinazione  della   sfera   dell'insindacabilita',   sulla
qualita' complessiva dell'attivita' espletata dai consigli regionali,
in termini di regressione verso forme di «legislazione  difensiva»  -
questa difesa ricorda, anzitutto, che, in base all'art. 5,  comma  1,
lettera q), legge regionale 7 agosto 2007, n. 20, sono  incompatibili
con la carica  di  consigliere  regionale,  «coloro  che,  per  fatti
compiuti allorche' erano amministratori o dipendenti  della  Regione,
sono  stati,  con   sentenza   passata   in   giudicato,   dichiarati
responsabili verso la Regione e non hanno ancora estinto il  debito».
Dal canto suo, la lettera v) dello stesso art. 5, comma 1, individua,
quale ulteriore situazione di  incompatibilita',  quella  di  «coloro
che, avendo un debito liquido ed esigibile  verso  la  Regione,  sono
stati legalmente messi in mora». 
    La verifica della  sussistenza  di  cause  di  ineleggibilita'  e
incompatibilita' e' disciplinata dall'art. 8 della legge  citata,  il
cui comma 5 prescrive che, «(q)uando  vi  siano  fondati  motivi  per
ritenere che una causa di ineleggibilita' o di  incompatibilita'  sia
sopravvenuta all'elezione, il  presidente  del  consiglio  regionale,
entro  dieci  giorni  dalla  data  di  accertamento  della  causa  di
ineleggibilita'  o   di   incompatibilita'   sopravvenuta,   ne   da'
contestazione all'interessato con lettera raccomandata  con  ricevuta
di ritorno e con invito a presentare eventuali  controdeduzioni  e  a
rimuovere  le  cause  di  ineleggibilita'   o   di   incompatibilita'
sopravvenute o ad effettuare l'opzione tra la carica consiliare e  la
carica o l'ufficio incompatibile ricoperto, entro dieci giorni  dalla
data di ricevimento della contestazione». 
    Il successivo comma 6 puntualizza che «(q)ualora  il  consigliere
non provveda alla rimozione  della  causa  di  ineleggibilita'  o  di
incompatibilita' sopravvenuta, il Consiglio,  entro  i  dieci  giorni
successivi alla scadenza del termine di  cui  al  comma  5,  delibera
definitivamente   e,   ove   ritenga   sussistente   la   causa    di
ineleggibilita'  o  di  incompatibilita'  sopravvenuta,  lo  dichiara
decaduto (...)». 
    E'  persino  intuitiva,  in  questo  scenario,  l'esistenza   del
periculum in mora, in grado di giustificare la  tutela  cautelare  di
cui all'art. 40, legge 11 marzo 1953, n. 87. 
    Infatti, quale che sia l'interpretazione  concretamente  recepita
dal Presidente del consiglio regionale -  cui  compete  l'attivazione
del procedimento descritto dall'art.  8,  legge  regionale  7  agosto
2007,  n.  20   -   nella   qualificazione   della   fattispecie   di
incompatibilita' (ai sensi, rispettivamente, delle lettera  q)  o  v)
dell'art. 5, comma 1, legge regionale 7 agosto 2007, n. 20),  non  e'
revocabile in dubbio che sia l'eventuale passaggio in giudicato della
sentenza meglio individuata in epigrafe - a norma degli articoli  177
e  178  decreto  legislativo  26  agosto  2016,  n.  174  -  che   la
costituzione in mora dei soggetti condannati -  gia'  compiuta  dalla
Regione, in quanto  atto  preliminare  dell'azione  di  recupero  dei
crediti  liquidati,  cui  l'odierna   ricorrente   e'   doverosamente
chiamata, in forza dell'art. 214, decreto legislativo 26 agosto 2016,
n. 174 (docc. nn. 4-9) - siano suscettibili di provocare,  in  attesa
della definizione nel merito del presente giudizio, la decadenza  dei
consiglieri regionali attualmente in  carica,  reputati  responsabili
per danno erariale (6 sui 18 coinvolti nel procedimento dinanzi  alla
Corte dei conti),  cosi'  da  compromettere  la  regolare  e  genuina
funzionalita' dell'organo costituzionalmente previsto. 
    Depone, in tal senso, anche la giurisprudenza di  codesta  Ecc.ma
Corte, la' dove ha accolto la domanda di sospensione  dell'esecuzione
della sentenza che aveva condannato un deputato della Regione Sicilia
- tra l'altro - all'interdizione dai pubblici uffici, ravvisando, per
l'appunto, «gravi ragioni, inerenti al  funzionamento  dell'Assemblea
regionale siciliana» (cosi', Corte costituzionale,  ordinanza  n.  94
del 1980).